A settembre il rientro a scuola sarà il 14 per tutta Italia e a turni, con possibilità di allungamento della settimana anche al sabato; si faranno screening e test a campione per i professori, studenti e tutti gli operatori della scuola;. L’uso della mascherina non è scontato: si potrà rivederlo a fine agosto. La distanza interpersonale che deve essere garantita è di un metro tra le teste dei ragazzi, quindi i banchi dovranno essere singoli. Ci sarà apertura a classi miste (anche per età), addio alla “vecchia” suddivisione in materie a favore delle aree tematiche e possibilità di mantenere la Didattica a distanza (DAD) a integrazione di quella in presenza per gli studenti delle superiori. Dopo la pubblicazione delle linee guida per la ripresa del nuovo anno scolastico il 14 settembre, si è scatenato il dibattito sulla reale concretezza delle misure, che si scontrano con mancanza di fondi, aule, docenti e con il presupposto di un nuovo coinvolgimento delle famiglie. La bozza è frutto di una trattativa che si è protratta per settimane, con l’epilogo dello scontro con le Regioni. «Comunque assomiglia di più a una lista di ingredienti, la cui ricetta viene demandata ad altri, dai singoli istituti, al territorio, ai genitori» spiega Rosaria D’Anna, presidente dell’Associazione Italiana Genitori (Age).
1. A scuola a turni. Come si organizzano le famiglie?
Nella bozza messa a punto dal comitato tecnico che dovrà diventare un decreto a firma del ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, sparisce ogni riferimento esplicito al distanziamento minimo da tenere in classe (l’ultimo era di un metro tra un banco e l’altro) così come alle mascherine (l’ultima parola spetterebbe al ministero della Salute). In compenso si parla di frequenza scolastica con turni differenziati, ipotesi molto difficile da sostenere soprattutto per le famiglie con più figli di età differente. «Esistono degli oggettivi problemi di organizzazione familiare e conciliazione con le esigenze lavorative dei genitori, anche di quelli che potrebbero rimanere in smartworking. Consideriamo poi che restano incognite sulla possibilità di affidare i figli ai nonni, specie in caso di una seconda ondata di epidemia che non ci auguriamo» spiega D’Anna, che aggiunge: «È confortante che si parli di ritorno alla didattica in presenza, ma il testo è molto vago e si rimanda ai territori e all’autonomia della scuola. Non vorremmo che si ricreasse la stessa confusione avvenuta durante il lockdown e per le valutazioni di fine anno, dove ciascun istituto (e corpo docenti) ha seguito linee proprie».
2. Classi miste per età e scuola di sabato. Le scuole sono in grado di decidere ora?
Il testo del comitato tecnico fa riferimento anche alla possibilità di estendere “il tempo scuola alla giornata di sabato”, dunque ancora una volta significa rivoluzionare in molti casi la vita familiare. Quanto all’attività didattica, non mancano le novità. Una delle ipotesi riguarda la possibilità di «riconfigurazione del gruppo classe in più gruppi di apprendimento» e la creazione di «gruppi di alunni provenienti dalla stessa o da diverse classi o da diversi anni di corso»: «Di fatto significa smembrare le classi già formate, con conseguenti dubbi sia in termini di socializzazione che di docenti di riferimento» osserva la presidente di Age.
3. Sdoppiare le classi. Ci sono gli insegnanti?
«Per poter sdoppiare la classi, però, occorrerebbe anche il doppio di insegnanti, che non ci sono. Probabilmente il Ministero intende potenziale gli organici, ma il reclutamento “canonico” di docenti tramite concorso prevede procedure lunghe» spiega Maurizio Parodi, pedagogista, esperto sociologo e dirigente scolastico CPIA Levante Tigullio (Genova). Insomma, a settembre non si potrà contare su nuovi insegnanti.
4. Parchi, teatri, biblioteche come alternative all’aula. È fattibile?
Uno degli aspetti più innovativi delle linee guida è quello che fa riferimento ai Patti educativi di comunità, ossia alla sinergia tra scuole e territorio per «favorire la messa a disposizione di altre strutture o spazi, come parchi, teatri, biblioteche, cinema, musei, al fine di potervi svolgere ulteriori attività didattiche o alternative» Insomma, in mancanza di spazi adeguati nelle scuole, a causa di aule troppo piccole, si esorta a trovare alternative sul territorio, coinvolgendo anche il terzo settore (ad esempio le associazioni sportive dilettantistiche, musicali, ecc.) «anche nella responsabilità connessa ai compiti di sorveglianza e vigilanza degli alunni». Si tratta di uno dei punti più controversi, ma non l’unico: «Si tratta di idee suggestive e interessanti, ma a cui non corrispondono soluzioni reali, soprattutto in questo momento dell’anno. Noi il 30 giugno avremo un collegio docenti, ma io non avrò indicazioni concrete da dare agli insegnanti in merito al prossimo anno scolastico» spiega Parodi, che aggiunge: «Non si tratta solo di trovare spazi adeguati, ma anche di cambiare il tipo di didattica, che non potrà essere necessariamente quella tradizione e frontale. Ben venga la valorizzazione di forme di istruzione nuove e meno rigide, ma gli insegnanti sono pronti?».
5. Serve un nuovo modo di insegnare. I docenti sono pronti?
«La DAD ha dimostrato che alcuni docenti hanno capacità di adattamento straordinarie, ma la maggior parte è ancora legata a un modello di didattica cattedratica che non è adatta né alla didattica a distanza né a spazi che non siano un’aula tradizionale» spiega Parodi, autore tra l’altro di Basta compiti. Lo stesso vale per l’ipotesi di aggregare materie oggi autonome in aree tematiche, come scritto nella bozza ministeriale, o di integrare lezioni in presenza con la DAD, alle superiori: «Bisognerebbe ripensare l’insegnamento, valorizzare anche il mutuo insegnamento che può derivare da studenti di età differente. Non sono novità assolute, sono già state sostenute da maestri come Montessori, ma di fatto non si sono praticate se non in poche scuole. Anche durante il lockdown gli insegnanti si sono spesso limitati a videolezioni identiche a quelle in classe e ad assegnare compiti, mortificando le potenzialità della tecnologia» aggiunge il dirigente.
6. È pronta l’integrazione tra didattica a distanza e in presenza?
Mentre la ripresa delle scuole resta dunque incerta, alcune università stanno già riprendendo le lezioni, come la Bocconi di Milano. «La tecnologia da sola non basta. Intanto va tenuto presente che il 30% degli studenti non ha la banda larga e se i fondi ministeriali hanno permesso di distribuire tablet e smartphone a chi non ne aveva, senza rete e senza spazi adeguati in casa in molti sono rimasti tagliati fuori dalla DAD» premette Alberto Contri, docente di Comunicazioni sociali allo IULM di Milano. «Sia lo studio a distanza che lo smart working si sono rivelati utili in mancanza di alternative, ma i pedagogisti spiegano che la didattica in presenza non è sostituibile, non è possibile integrare il dialogo fisico che si può avere in un’aula di scuola o di università» aggiunge l’esperto.