Se ne parla e se ne sa troppo poco, eppure quasi mezzo milione di italiani ogni anno si ritrovano a fare i conti con questo disturbo importante. Il linfedema si presenta con un gonfiore esagerato che colpisce il braccio o la gamba. Ed è accompagnato da un dolore che rende difficile compiere anche il più banale dei movimenti. Sintomi che, se non si corre ai ripari, peggiorano sempre di più.
A provocare il tutto è un danno al sistema linfatico, quel reticolo di vasi, dove scorre un liquido chiamato linfa, e di linfonodi, vere e proprie centraline. Questo apparato ha due compiti importanti: ripulire tutti gli organi del corpo dai liquidi in eccesso e produrre i linfociti, le cellule guerriere dell’organismo. Se va in tilt sono guai e si scatena appunto il linfedema.
«A creare il danno spesso è un intervento oncologico durante il quale vengono asportati uno o più linfonodi che risultano intaccati da cellule tumorali. E i tumori in cui c’è un coinvolgimento dei linfonodi sono vari: tra i più frequenti quello al seno, alla prostata, il melanoma, i tumori ginecologici» racconta Sandro Michelini, presidente dell’Italian Lymphoedema Framework, la branca italiana della più importante associazione internazionale (ILF) su questa malattia.
Nel mondo si contano 300 milioni di casi di linfedema. In Italia sono 450.000 e quattro volte su dieci sono di origine genetica
Quali sono gli altri casi in cui rischiamo un danno al sistema linfatico?
«Sempre in ambito oncologico, il linfedema si può scatenare anche dopo la radioterapia. Ma le situazioni sono tante e diverse. Si può manifestare dopo un intervento importante di ortopedia, e in seguito a infezioni gravi ma anche per colpa di traumi, come frattura vertebrale per caduta, o ferite profonde. Quello che bisogna sapere è che nel 50 per cento dei casi il rischio linfedema si può prevedere».
In che senso?
«Gli studi in corso hanno dimostrato che in quasi la metà dei pazienti il linfedema è di origine genetica e si manifesta quando un evento anche banale agisce da start. In queste persone possono bastare una contusione o una distorsione o una puntura di insetto che crea un’infezione. In questi casi il sistema linfatico, già predisposto a lavorare con più difficoltà, non è in grado di drenare la linfa prodotta e si sviluppa il gonfiore. Per questo quando si toglie il gesso dopo una frattura grave bisogna tenere sotto stretto controllo il gonfiore. Se nei giorni successivi non migliora, bisogna eseguire la linfoscintigrafia, un esame che vede come scorre la linfa, e il test genetico che, se risulta positivo, va esteso a tutta la famiglia».
Cosa cambia se è una forma genetica?
«I familiari di chi si ammala, se positivi al test, devono seguire alcune regole: indossare sempre calze contenitive durante i viaggi lunghi in auto e in aereo, applicare sistematicamente lozioni repellenti anti-insetti quando è la stagione calda, informare il medico del rischio in modo da assumere una terapia antibiotica preventiva ad esempio prima di un intervento odontoiatrico. Infine, secondo alcune ricerche, va modificata la dieta, per esempio riducendo alcuni tipi di alimenti grassi che rendono meno fluido lo scorrimento della linfa. Questo significa, in sostanza, seguire la nostra dieta mediterranea».
Quali sono le terapie per il linfedema?
«La più efficace è un mix di linfodrenaggio manuale, bendaggio compressivo e pressoterapia pneumatica. Insieme hanno un’elevata efficacia decongestionante. Con il tempo, infatti, nei vasi linfatici si crea del tessuto fibrotico che blocca lo scorrimento dei fluidi: questa azione combinata di più tecniche permette alla linfa di riprendere a scorrere. Il trattamento va messo a punto in modo personalizzato in base allo stadio della malattia e allo stato di salute del paziente. Il linfodrenaggio per esempio può essere controindicato in caso di scompenso cardiaco, quando non è ben controllato farmacologicamente. Oggi inoltre si sta cominciando a prescrivere anche una cura farmacologica mirata: le ricerche dicono che funziona bene nei casi iniziali. Si tratta di un mix di principi attivi chiamati benzopironi, da assumere per un paio di mesi, che ripristinano il flusso della linfa, a tutto vantaggio del gonfiore. Infine, ha un ruolo importante la fisioterapia in acqua: l’esperienza degli astronauti ci ha confermato che l’assenza di gravità, come accade anche in acqua, comporta miglioramenti nella circolazione linfatica».
LINFEDEMA: QUANDO CI VUOLE IL BISTURI
Sì alla chirurgia per il linfedema, ma solo se viene eseguita in Centri d’eccellenza dopo un’accurata visita specialistica e selezione del paziente. La tecnica più utilizzata consiste nella realizzazione di mini by-pass preparati con tratti di vasi linfatici locali che vengono uniti a delle vene circostanti. L’obiettivo è deviare la linfa nei punti critici, con un migliore scorrimento del flusso complessivo. Non sai a chi rivolgerti? Vai su www.soslinfedema.it: qui trovi i Centri italiani di linfedema.