La storia di Lino, tredicenne di Scampia che si è presentato a scuola con una coda di treccine blu ed è stato rispedito a casa dalla preside, è diventata ormai un caso di cronaca nazionale. Un episodio quasi insignificante che è stato ripreso da tutti i quotidiani e che rimbalza sui social da venerdì scorso, con molti plausi alla preside Rosalba Rotondo che ha scelto la linea dura, quella del “decoro” e del “rispetto delle regole”, tanto più, a suo parere, in un quartiere come Scampia dove gli esempi negativi non mancano. «È un ragazzino molto intelligente, a dicembre si esibirà con altri alunni al San Carlo di Napoli» ha spiegato Rotondo a Rai News «Qui a scuola vogliamo che continui a coltivare la passione per il pianoforte, la musica. Il suo riscatto deve arrivare dalla cultura».
Come tutti gli episodi di questo tipo che diventano virali, ne sappiamo davvero molto poco: non conosciamo la situazione familiare di Lino (sua madre, per esempio, non era d’accordo con la decisione della preside) né quali sono state le circostanze e le motivazioni che lo hanno portato a scegliere di acconciarsi i capelli in quel modo. Un ricordo estivo, un omaggio ai trapper afroamericani che hanno sdoganato dreadlock e cornrows, puntalmente ripresi da quelli italiani, un azzardo come lo sono tutti i tentativi di costruirsi uno stile personale a tredici anni. Non sembri banale l’argomento dei capelli: in America è serissimo ed è inseparabile da quello sulle rivendicazioni sociali e culturali di tutte le cosiddette minoranze etniche, come appunto gli afroamericani. Moltissimi artisti bianchi, come Katy Perry, Miley Cyrus e Ariana Grande fra le altre, sono stati accusati di essersi “appropriati” di look e più in generale di un universo estetico che per lunghissimo tempo è stato dei neri americani e che per loro ha spesso significato discriminazione. Le treccine oggi in America sono motivo di vanto e di orgoglio – lo dimostra l’hashtag #naturalhair con cui le ragazze nere hanno iniziato a fotografare sui social i loro ricci naturali, che fino a non troppo fa venivano considerati troppo “unkempt”, disordinati, scarmigliati.
Se da una parte non sappiamo cosa ha spinto Lino a farsi quelle treccine (nessuno gliel’ha chiesto!), dall’altra è facile intuire come la reazione della preside, pur con tutte le buone intenzioni del caso, scada invece in quell’atteggiamento di condanna che finisce per scavare un solco tra gli educatori e i loro studenti. Siamo così sicuri che la pettinatura estroversa fosse davvero un gesto di “ribellione giovanile”, come erano ad esempio le creste e i piercing per i punk? Siamo davvero così sicuri che i giovanissimi di oggi, sottoposti come sono al continuo fluire di personaggi tra i più disparati sul palcoscenico dei social, si scandalizzino o vogliano scandalizzare con le stesse modalità di uno studente ribelle all’inizio degli anni Settanta? E siamo sicuri infine che riportare quel guizzo di personalità alle regole, al decoro che finisce per appiattire ed escludere invece di educare, fosse la soluzione migliore? Non sarebbe stato più utile, magari, informarsi sulle intenzioni dietro alla capigliatura e sfruttare l’occasione per educare il ragazzo sul suo significato? Senza pretendere di insegnare alla preside come fare il suo mestiere, che svolge con grande esperienza da molti anni e perdipiù in contesti nient’affatto semplici, il dubbio che si potesse scegliere un altro approccio alla questione è del tutto legittimo.