La questione del quanti (e quali) medici siano necessari in Italia oggi e nei prossimi anni è tornata d’attualità: dopo il mistero dell’abolizione del numero chiuso nelle facoltà di medicina, apparso e poi scomparso dai piani del governo, ora la Regione Veneto scrive una delibera che prevede la possibilità di richiamare i medici dalla pensione. Anche il Molise sta sondando questa eventualità. Colpa di quota 100, che sta mandando in pensione migliaia di dottori? Colpa di scelte avventate dei decenni precedenti? Il problema esiste, viene da lontano e ha una forma complessa.
Per riassumere: oggi abbiamo tanti bravi dottori, domani chissà, visto che in troppi andranno in pensione e c’è un problema di ricambio; siamo messi così-così con gli infermieri, ma almeno lì si è fatto qualcosa per rimediare.
Oggi: meglio rispetto all’Europa
Partiamo dalla fotografia dell’oggi, che non mostra un’Italia messa male quanto a personale sanitario. I dati Eurostat sulla sanità italiana (report “Profilo sanità 2017” e database Eurostat, dati sul 2017, in parte provvisori) sono chiari: abbiamo 54.990 medici di base e 187.975 specialisti. I pediatri? 17.508. A guardare i numeri dell’ultimo decennio, stiamo sereni: mai avuti tanti specialisti, numero dei pediatri stabile e quantità dei medici di base sostanzialmente buona, anche in rapporto ai nostri cugini europei. Stando al report, abbiamo 3,8 medici ogni mille abitanti. Questo ci colloca sopra la media dei Paesi UE, che è 3,6, di poco più bassa. Bene, quindi.
E gli infermieri? Qui nasce una prima questione: sono “solo” 6,1 ogni mille abitanti, contro una media UE di 8,4. Abbiamo 1,5 infermieri per medico (sono in media 2,3 in Europa). Con una popolazione che invecchia, la natalità al palo e le malattie croniche sempre più rilevanti in termini di salute pubblica, è un grosso problema. Perché sicuramente vedremo aumentare le necessità di personale adatto per le cure degli anziani, nei prossimi anni.
Eppure, qualcosa si è mosso. Il rapporto Eurostat parla di “marcato aumento dei laureati in infermieristica” negli ultimi 15 anni. Dai 3.100 del 2000 agli oltre 13.000 del 2014. Inoltre il Sistema sanitario nazionale sta puntando a potenziare proprio i servizi infermieristici e di assistenza. Il problema torna ancora una volta sui medici e sul prossimo decennio. Vediamo perché.
Domani: tanti in pensione, pochi giovani
Il numero di laureati in medicina è intorno ai 6.500 l’anno. Troppo pochi per rimpiazzare la marea umana di futuri pensionati in camice bianco. Lo hanno denunciato due sindacati della categoria, Fimmg (Federazione medici di medicina generale) e Anaao (il sindacato dei medici dirigenti): a causa dei pensionamenti previsti e del mancato bilanciamento di nuove assunzioni, si stima che tra 5 anni mancheranno all’appello 45mila medici, tra specialisti e medici di famiglia. Peggio fra 10 anni: al 2028 saranno usciti dalla vita lavorativa attiva 33.392 medici di base e 47.284 ospedalieri, per un totale di 80.676 unità. Solo fra i medici di base, per quell’anno potremmo ritrovarci a fronteggiare un saldo negativo di oltre 22mila dottori (i conti e le stime sui medici ospedalieri sono più difficili, è un vespaio tra dubbi sui tempi dei concorsi e blocchi delle assunzioni in molte regioni).
La verità è che questo sbilancio prossimo venturo non è notizia del 2018. In un report dell’Anaao di quattro anni fa – dall’inequivocabile titolo “La programmazione del fabbisogno di personale medico nel decennio 2014-2023” – già emergeva lo squilibrio.
Per chi volesse programmare i malanni del prossimo decennio in base alla speranza di trovare uno medico in ambulatorio, ecco le specialità a rischio estinzione. Malissimo i pediatri (circa 6.000 pensionati con solo 2.900 ingressi), gli internisti (4.119 pensionamenti e 2.280 nuovi contratti), i chirurghi (3.621 pensionamenti a fronte di 2.710 assunzioni) e i cardiologi (2.904 contro 2.480). Quasi in pari anestesisti, ortopedici e geriatri, ma sempre con più uscenti che entranti. Bilancio positivo per i radiologi.
Il vero problema è la mancanza delle specializzazioni
Cosa fare? Sicuri che spalancare le porte delle facoltà sia la strategia migliore? Forse no. Il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, Filippo Anelli, è stato chiarissimo nel ricordare che il vero problema sta nel limitato accesso alla professione, non nella quantità di medici laureati. «Il numero chiuso è necessario. Al momento», ha detto Anelli a SkyTg24, «ci sono circa 15mila medici laureati che non riescono a trovare una soluzione per completare il percorso formativo». Ossia: ci sono più medici laureati rispetto alla disponibilità delle borse di specializzazione. «Chi, dopo la laurea, non può accedere alla specializzazione rimane in una specie di limbo, bloccato nel suo percorso» ha spiegato il presidente della Federazione.