Non ha nemmeno un account social, la nuova ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, e questa è già una svolta se si pensa alla sbornia online di Matteo Salvini dell’ultimo anno e mezzo. Nome a sorpresa dell’esecutivo giallorosso, la potentina Lamorgese, classe 1953, arriva al Viminale per scelta tecnica e non politica. Consigliere di Stato dalla fine del 2018, è stata la prima donna prefetto di Milano, dopo aver ricoperto la stessa carica a Venezia. «L’epoca in cui Platone si chiedeva “Sarà tempo che le donne governino?” è storia passata» disse Lamorgese insediandosi.
Ha fatto carriera al Viminale
Il suo percorso, da funzionario degli Interni a prefetto e infine a ministro, è molto simile a quello di Annamaria Cancellieri, che aveva lo stesso ruolo nel governo Monti. Lamorgese è arrivata agli Interni nel 1979: direttore per le Risorse umane presso il dipartimento Affari interni, capo del dipartimento per le Politiche del personale civile e per le Risorse, infine capo di gabinetto del ministro Angelino Alfano tra il 2013 e il 2017. Un periodo che l’ha segnata, specie quando vide con i propri occhi i migranti morti a Lampedusa: «Quel viaggio ha cambiato il mio modo di vedere le cose, perché ho osservato l’inimmaginabile» dirà in seguito. «Chi scappa dalla fame ha diritto a trovare condizioni di vita migliori». Un’osservazione che sa di discontinuità. Come la sua discrezione: del suo privato si conoscono solo la laurea in Giurisprudenza, un solido matrimonio che le ha dato due figli e alcune amicizie trasversali.
Ha usato il polso di ferro con i sindaci
Da prefetto di Milano, ha cercato di coinvolgere i Comuni limitrofi nelle operazioni di ricollocazione dei migranti, altro tema al centro della polemica politica quotidiana. E quando i sindaci leghisti si sono messi a fare gli sceriffi, emanando ordinanze anti-migranti, lei le ha annullate. È successo con Cologno, Senago, Inzago, Trezzo. Non per ragioni politiche, ma perché secondo lei presentavano «profili di dubbia legittimità, anche costituzionale». Da qui il richiamo ai sindaci che, come ha spiegato una volta, «non sempre fanno la loro parte. Invece è importante accettare la diversità, che è ricchezza, e andare avanti con i processi di integrazione».
Nel nuovo governo, le donne ministro sono solo 7 su 21
Rispetto all’esecutivo Conte 1, dove erano 5 su 19, è comunque un passo in avanti. Escluso il prefetto Lamorgese, le altre nomine sono di espressione politica, ma non mancano le competenze. Teresa Bellanova del Pd, 61 anni, neoresponsabile dell’Agricoltura, per quasi 30 è stata a capo di Federbraccianti: prima firmataria della legge contro il caporalato, è già stata viceministro al Lavoro nei governi Renzi e Gentiloni. Paola Pisano (Innovazione) è una tecnica di area pentastellata, esperta di droni e già direttore del Cit dell’Università di Torino. Dalle fila del M5S arrivano anche l’attivista della prima ora Nunzia Catalfo (Lavoro) e Fabiana Dadone (Pubblica amministrazione), avvocato classe 1984. La renziana Paola De Micheli sarà ministro dei Trasporti, mentre alle Pari opprtunità c’è Elena Bonetti, matematica di fama internazionale ed ex scout.