La storia tragica della piccola Sofia, uccisa a 4 anni dalla malaria, contratta in un modo ancora tutto da capire, commuove, spaventa, interroga. Che cos’è questa malattia, di cui in Italia non si parlava da tempo? Come si prende? Quali misure preventive si possono e si devono adottare?
Lo abbiamo chiesto al professor Pierangelo Clerici, presidente dell’Associazione microbiologi italiani, direttore dell’Unità operativa dell’Azienda sanitaria di Legnano e Magenta e docente alla Statale di Milano.
Che cos’è la malaria?
“La malaria è una malattia infettiva causata da un parassita, un protozoo che si chiama Plasmodio, trasmesso dalla punture di alcune specie di zanzare infette, soprattutto della specie anopheles. Il plasmodium più aggressivo è il falciparum, poi ci sono il vivax, l’ovale, il malariae”.
In Italia la malaria non era stata debellata?
“È così. Le bonifiche delle zone paludose partite durante il Fascismo e terminate negli anni ’50 l’hanno eradicata. Da decenni in Italia non è più endemica. Ma è ancora diffusa in Africa, nel Sud-Est asiatico, nell’America centrale e nell’America Latina. Chi si reca in viaggio nei Paesi a rischio e ci vive la può contrarre.
In Italia, prima del dramma della piccola Sofia, i casi registrati non si erano azzerati. Tra il 2011 e il 2015, certificano le statistiche del ministero della Salute, ce ne sono stati 720-730 all’anno e il trend è in calo. I casi autoctoni notificati nello stesso arco di tempo, cioè di infezione contratta da persone che non sono uscite dall’Italia, sono stati 7. Il penultimo decesso correlato è di 20 anni fa. Nel territorio della nostra Azienda sanitaria, Legnano e dintorni, siamo in linea con le statistiche e le attese: dall’inizio dell’anno abbiamo avuto 15 casi e tutti non letali”.
Le persone hanno paura. Perché ci si ammala ancora di malaria?
“All’estero, negli Stati dove la malaria è ancora endemica e dove c’è il pericolo di venire contagiati, succede perché la zanzara anopheles è ancora diffusissima e non ci sono le risorse per debellarla ovunque. Centinaia di italiani e di immigrati che si ammalano di malaria, durante un viaggio o un periodo di permanenza all’estero, purtroppo non hanno fatto la profilassi. Invece è necessaria. Per proteggersi bisognerebbe assumere farmaci prima, durante e dopo la trasferta. Nei Paesi a rischio, poi, bisognerebbe usare barriere fisiche di protezione (a cominciare dalla zanzariere), repellenti (non adatti però a neonati e bimbi piccoli), abiti che coprono quasi tutto il corpo”.
Chi sono i malati in Italia?
“Turisti reduci da Paesi a rischio malaria, uomini d’affari, tecnici di rientro da missioni di lavoro, missionari e cooperatori internazionali, immigrati che tornano in Italia dopo essere stati in visita a familiari e parenti, migranti al primo ingresso. Ma non sono le persone a diffondere il contagio. Sono in genere le punture di zanzare infette nei luoghi in cui prolificano, in altri continenti”.
Come si trasmette la malaria?
“In questi giorni si sta dicendo tutto e il contrario di tutto. La malaria non si trasmette con il contatto fisico tra persone, né con il passaggio di fluidi corporei, come lacrime e saliva. Non è affatto vero che basta un bacio o che la colpa è di certi vaccini. Il contagio può avvenire unicamente attraverso il sangue infetto. La modalità principale è la puntura di una zanzara infetta, il vettore, soprattutto della specie anopheles. Ci possono essere altre cause, episodiche: trasfusioni di sangue (per incidenti o per malattie), uso accidentale o scambio di siringhe infette, trapianti d’organo. Nel nostro sistema sanitario i controlli e le procedure dovrebbero tranquillizzarci: il livello è molto alto, non si ha notizia di errori e di eventi avversi”.
Le donne in gravidanza sono più esposte?
“Nelle donne incinte il plasmodio toglie l’ossigenazione della placenta e può provocare un aborto, un iposviluppo del feto o il decesso della madre”.
La bimba morta non era mai stata all’estero. Si tratta di un rarissimo caso autoctono. Che cosa l’ha contagiata?
“Per avere delle risposte bisogna aspettare i risultati di analisi e accertamenti. Non è detto però che se ne verrà a capo. Dei 7 casi autoctoni registrati in Italia tra il 2011 e il 2015, relativi a persone che non erano mai state all’estero, 3 sono rimasti senza spiegazione. Possiamo ragionare in termini di ipotesi. È possibile, ma rarissimo, che una zanzara infetta arrivi in Italia attraverso i bagagli di chi si è imbarcato su un aereo in un Paese a rischio o tra le merci importate via nave. Ho sentito accusare i migranti: le anopheles, rispondo, non sopravviverebbero alle lunghe traversate del Mediterraneo”.
È possibile una proliferazione della zanzara anopheles in Italia?
“Gli esemplari presenti in Italia sono pochissimi e hanno perso la capacità di assumere e di trasmettere il plasmodio. Ci sono altre specie, ma veicolano tipi di plasmodio meno pericolosi. Nel caso della piccola Sofia mi sembra assolutamente impensabile che il vettore sia stato una anopheles”.
C’è stato un ritardo nella diagnosi?
“Gli accertamenti, ripeto, sono in corso. Posso dire alcune cose, in attesa di saperne di più. Se al pronto soccorso arriva una persona reduce da un viaggio all’estero, con la febbre alta e malesseri, la prima cosa a cui si pensa è la malaria. Si fanno esami del sangue e analisi specifiche e nel giro di qualche ora si elabora la diagnosi, avviando la terapia. Se al pronto soccorso entra un paziente che non è stato in un Paese endemico per la malaria, come la bimba, si effettuano analisi standard, che non prevedono la ricerca del plasmodio. E la diagnosi non arriva in tempi strettissimi”.
Perché la storia di Sofia spaventa così tanto?
“Perché la vittima era una bimba e perché sulla malaria non si hanno informazioni corrette. In più qualcuno ha scritto e detto cose fantascientifiche. Purtroppo, anche se non è un argomento di cui si parla, lontano da noi in un anno muoiono di malaria oltre 300mila bambini sono i 5 anni”.
Come ci si difende?
“Se si va all’estero, insisto, va fatta la profilassi. Se si ha il timore di aver contratto la malattia, al ritorno da un viaggio o da una trasferta di lavoro, bisogna andare subito dal medico. La diagnosi tempestiva è fondamentale. Le cure ci sono e funzionano”.
Si sente parlare di un vaccino ad hoc. A che punto siamo?
“Per la malaria si stanno studiando alcuni vaccini, all’estero. Sono in corso sperimentazioni nell’America Latina e nell’America Centrale. Ma siamo ancora assai distanti da risultati definitivi e un utilizzo su larga scala”.