5 milioni e mezzo in Italia, 120 milioni in Europa. Sono le persone che soffrono di una malattia reumatica, come artrosi, artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico, sclerodermia, per citare solo le più diffuse. Su di loro una volta all’anno si accendono i riflettori in occasione del World arthritis day, la giornata mondiale delle malattie reumatiche che si celebra sempre il 12 ottobre.
In due casi su tre i pazienti sono donne
Come in tutto il resto del mondo, in due casi su tre a soffrire di malattie reumatiche sono donne. A causa della malattia vivono una quotidianità faticosa e ciononostante lavorano, hanno una famiglia, dei bambini da crescere e anche se sono anziane gestiscono la loro vita e la loro casa.
«In Italia la donna in assoluto è penalizzata, e questo aspetto si acuisce in caso di malattia», interviene Antonella Celano, Presidente di Apmar, l’associazione che riunisce i pazienti con malattie reumatiche. «Ci sono donne che tengono nascosta la patologia per non perdere il lavoro e accettano mansioni che non dovrebbero essere di loro competenza. Ma lo fanno perché la società fatica a riconoscere il diritto al lavoro per le donne, ancora meno se ci sono dei figli e magari anche le sofferenze di una malattia invalidante, come le patologie reumatiche. Inevitabilmente, purtroppo, vengono lasciate sole».
In molte Regioni è ancora difficile curarsi
Anche quest’anno, in occasione del 12 ottobre la European League Against Rheumatism, l’organizzazione che rappresenta a livello europeo tutte le società scientifiche di reumatologia, rilancia la campagna “Don’t delay, connect today”. L’invito è rivolto in particolare ai medici, ma anche alle forze politiche, affinché la diagnosi sia sempre più precoce per avere accesso il prima possibile alle cure disponibili.
Un invito che dovrebbe diventare uno stimolo a migliorare una situazione di stallo. In Italia mancano i Centri di reumatologia, le liste di attesa sono ancora troppo lunghe, e nel caso in particolare di alcune patologie reumatiche non è possibile l’aderenza terapeutica e non certo per scarsa volontà del paziente.
«In alcuni ambulatori Asl non è possibile sottoporsi alle terapie per mancanza di risorse economiche», continua Antonella Celano. «In Calabria ad esempio i pazienti con sclerodermia hanno dovuto sospendere le cure per una serie di eventi concomitanti: mancanza di farmaci da somministrare per infusione, assenza di poltrone per la terapia, inesistenza di infermieri specializzati, medici trasferiti. Certo, esistono le cosiddette “isole felici”, cioè le zone in Italia dove tutto funziona, ma sono ancora troppe le Regioni dove invece è difficile curarsi, dove le Istituzioni sono latitanti e fanno “muro di gomma” alle nostre richieste a favore della tutela del paziente».
La difficoltà di ottenere una diagnosi certa
Ricominciare da zero: la riflessione che accompagna questo 12 ottobre scaturisce dall’esigenza di risolvere le difficoltà vissute dai pazienti. Ancora oggi infatti tre persone su dieci non conoscono agevolazioni, diritti e benefici previsti per legge.
Anche per questo, Apmar lancia attraverso i social la campagna #diamoduemani2018. «In associazione arrivano testimonianze di persone che hanno vagato da uno specialista all’altro per anni prima di avere una diagnosi certa», aggiunge la Presidente Apmar. «Eppure gli studi ci dicono che se il medico di base ha un “occhio” allenato a riconoscere la malattia, si riescono ad abbreviare molto i tempi. Cosa che adesso accade solo raramente. C’è bisogno anche di più informazioni, i pazienti devono imparare a interagire con i medici, a destreggiarsi nella giungla delle burocrazie». In questo, aggiunge la Presidente, bisogna seguire l’esempio delle donne in caso di gravidanza. Se non è il ginecologo a farlo spontaneamente, infatti, è la donna che chiede il contatto con il reumatologo, al fine di una gestione in sinergia tra i due specialisti dei nove mesi.
Invalidità: quando non viene riconosciuta a chi ne ha bisogno
Ultimo, ma non meno importante, un tema di scottante attualità proprio in questi giorni: la richiesta da parte dell’Inps ai propri funzionari di adottare una maggiore rigidità nella concessione dell’invalidità. «Certo, i furbi ci sono purtroppo, ma il modo per svelarli ci sarebbe», conclude Antonella Celano. «Basterebbe creare delle Commissioni specifiche con specialisti competenti nella malattia: il lunedì un pool di oncologi che valutano le pratiche per i malati oncologici, il martedì per le patologie reumatiche e così via. Ora invece ci sono medici che leggono la pratica talvolta senza guardare in faccia il paziente, senza porre domande. E così, viene rifiutata l’invalidità a chi ne ha bisogno, col rischio spesso di pesanti ripercussioni a livello psicologico a causa di una malattia la cui evidenza viene negata».
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