6 gennaio, aereoporto di Linate, prime ore del mattino di una giornata freddissima anche per il cuore: mio figlio sta partendo per il Canada dove vive e studia ormai da due anni e mezzo. Per noi parte, ma la verità è che lui torna a casa, la sua vita è lì adesso.
Nella sua camera ha lasciato poco e niente, qualche libro, zero vestiti, la sua chitarra perché là ne ha comprata un’altra.
Ogni volta che ci salutiamo, più o meno ogni 6 mesi, mi sale il groppo alla gola, ogni volta è sempre peggio. La scorsa estate, dopo un bellissimo viaggio che abbiamo fatto insieme nel Quebec, appena salita sull’aereo mi sono scese le lacrime, e le ho lasciate fare. Hai voglia di pensare che è giusto così, che tuo figlio ha scelto la sua strada, hai voglia di pensare che hai fatto bene a incoraggiarlo. In fondo è contento del percorso di studi che ha intrapreso, si è gettato dietro il suo passato di studente poco motivato, ora che ha ottimi risultati e grandi soddisfazioni. Hai voglia di pensare e farti coraggio ma piangi lo stesso.
Quando è partito la prima volta non aveva neanche l’alloggio, ma mi aveva tranquillizzato «Mamma troverò senz’altro qualcosa, non ti agitare non finirò sotto i ponti!». Io ero molto tesa, mio marito era invece sicuro che se la sarebbe cavata benissimo. Eppure credo di avere cresciuto i miei figli senza troppe ansie, fin da piccoli hanno frequentato i campus estivi all’estero e non mi sono mai preoccupata eccessivamente.
Adesso è diverso, temo il momento del distacco.
Cerchiamo di scorgerlo mentre attende il suo turno al controllo bagagli e poi sparisce inghiottito dalla fila, ci rivedremo a giugno per la sua laurea.
Io e mio marito non ci guardiamo negli occhi per non commuoverci, ma mi stringe forte la mano, so che è difficile anche per lui. Torniamo a casa mesti, sono solo le otto del mattino, potremmo tornare a dormire, in fondo siamo ancora in vacanza. Ma non ci riusciamo, io mi metto a cucinare freneticamente e singhiozzando, mio marito per non pensare decide che è l’ora di riordinare il solaio, tira fuori tutto e rimette a posto, un lavoro lungo un giorno.
Così si cerca di esorcizzare una lontananza di cui siamo sempre più consapevoli, chissà se riuscirà a tornare, se vorrà tornare soprattutto. Cosa prevale tra cuore e ragione? Quando ci salutiamo il cuore si spezza, ma passato qualche giorno si ricompone e la ragionevolezza ha il sopravvento.
Mi vedo mamma pendolare in futuro? Magari nonna pendolare, forse avrò dei nipotini e non potrò vederli crescere. Intanto lui si è trovato una fidanzata cinese, anche lei lontana dalla sua terra, ma non vale più “mogli e buoi dei paesi tuoi?”. E poi con i suoi amici, anche loro studenti, è come se avessero fatto famiglia, hanno ricreato una casa dove c’è aria d’Italia. Hanno persino i quadri alle pareti, il gatto, l’acquario con i pesci. E una dispensa piena di ogni bendidio. Questi italiani irriducibili.
Pensieri che si affollano, sentimenti e fusi orari comuni a tante famiglie che hanno i figli all’estero. Per fortuna mia figlia abita a pochi passi da noi, se devo essere sincera però vedo più lui via Skype che lei dal vivo. E allora mi faccio forza: la lontananza è solo una questione psicologica.
Ora sì che sto meglio, almeno fino al prossimo distacco.