La prima frase che Veronica, 39 anni, di Brescia, mi dice è: «Sono stanca». E quella stanchezza, fisica e mentale, traspare chiaramente dai suoi grandi occhi cerulei. È in macchina, quando mi parla, fuori dall’oratorio dove uno dei suoi due figli (rispettivamente di 7 e 11 anni) ha ricominciato a giocare a calcio. «Quest’anno non ho potuto pagare l’iscrizione. Per fortuna il prete mi conosce e ha chiuso un occhio» racconta, senza vergogna e con grande tenacia. Anche se è stanca morta, Veronica non molla. Mai. Nemmeno quando, più spesso di quello che possiamo immaginare, sono seduti tutti insieme a tavola e lei non mangia. «I miei figli mi chiedono come mai. “Non ho fame” rispondo con un sorriso. Ma loro sanno benissimo che in realtà non mangio perché un piatto in più facciamo fatica a permettercelo» aggiunge, con la stessa amara dolcezza.
Veronica, una delle tante mamme single
Tra un lavoro precario da circa 750 euro al mese, l’affitto del bilocale in cui abita (per cui ha dovuto chiedere a una sua amica di farle da garante) e i pochi soldi che il suo ex marito dovrebbe darle ma che non arrivano mai, Veronica è costretta a rinunce e compromessi per far tornare i conti. E a salti mortali per cercare di non far mancare niente ai suoi bambini. Ma quando le chiedi se si pente di qualche scelta fatta, la sua risposta è decisa: «No, i miei figli sono la mia forza. A loro non rinuncerei per niente al mondo. Neanche quando a Natale, come è successo quest’anno, devo decidere a chi fare il regalo bello, perché due sono troppi» racconta.
Certo, mi sento mutilata nella speranza, perché il problema è che rimani comunque sotto una soglia di povertà che non riesci a superare nonostante tutti gli sforzi. Per avere il minimo, devi lavorare il doppio
Quante sono in Italia le mamme single?
Veronica non è l’unica a provare la fatica di cui parla. Secondo gli ultimi dati Istat, riferiti al 2021, le mamme single – sole, vedove, separate, divorziate – in Italia sono 2.967.420, con un incremento del 35,5% rispetto al censimento del 2011. E, dato ancora peggiore, di queste famiglie monogenitoriali l’11,5% vive in una condizione di povertà assoluta, tanto che una madre su 10 dichiara di non potersi permettere un secondo piatto di cibo per i propri figli ogni due giorni. Con un gap di genere che ne limita le risorse economiche (secondo l’Inps, le retribuzioni settimanali lorde degli uomini nel 2023 sono state in media pari a 643 euro, superiori del 28,34% rispetto ai 501 euro medi percepiti dalle donne), le madri single si ritrovano quindi a fronteggiare da sole la gestione del tempo, del lavoro e delle finanze. Certo, in Italia esistono bonus destinati a loro, ma spesso queste misure, davvero troppo esigue, non sembrano sufficienti a compensare i problemi strutturali.
Il bonus nido viene potenziato
«La Legge di Bilancio 2025 prevede un potenziamento del bonus nido ed esclude dal calcolo dell’Isee l’assegno unico e universale (il sostegno economico destinato a tutte alle famiglie per ogni figlio a carico fino al compimento dei 21 anni e senza limiti di età per i figli disabili, ndr). Inoltre, viene aumentata di 5 milioni di euro annui la spesa prevista. Tutte cose che permetteranno a più genitori di beneficiare di questo supporto» spiega Francesca Nappi, del patronato Inas-Cisl. Gli importi del bonus variano a seconda del reddito familiare e possono arrivare fino a un massimo di 3.600 euro all’anno per i nati nel 2024.
Gli asili non bastano per tutti
Il vero problema, però, sono le strutture. Ci sono solo 350.000 posti in asili nido e servizi integrativi per la prima infanzia, pubblici o privati. Dunque, solo il 28% dei bambini, ovvero poco più di uno su 4, può usufruirne e 900.000 piccoli ne sono ancora esclusi, come risulta dagli ultimi dati dell’Istat elaborati dalla Cgil. Un’offerta assolutamente insufficiente rispetto al potenziale bacino di utenza, ben al di sotto di quel 33% che l’Europa si era data come obiettivo da raggiungere entro il 2010 (e che l’Italia ha indicato come livello minimo da garantire entro il 2027) e molto lontana dal nuovo obiettivo europeo del 45% da raggiungere entro il 2030.
Per le mamme single il problema resta il lavoro
«Il problema più grande è trovare un lavoro fisso. Da quando sono madre ho avuto solo occupazioni occasionali. Ai colloqui mi chiedono: “Dove lascerai i bambini se si ammalano?”. E così mi scartano» sospira Veronica. A proposito di lavoro e di donne, nella manovra 2025 ci sono due misure che in qualche modo provano ad andare incontro alle mamme. «Dal 1° gennaio 2025 i mesi di congedo parentale in cui è prevista un’indennità dell’80% dello stipendio da due sono diventati tre» spiega Francesca Nappi. Anche se occorre aspettare la circolare dell’Inps in merito, i criteri purtroppo sembrano essere più severi. «Potranno usufruirne, entro i 6 anni del bambino, i genitori dipendenti che finiscono il congedo maternità o paternità dopo il 31 dicembre 2024» sottolinea l’esperta.
Il bonus mamme lavoratrici
Sempre quest’anno cambia il bonus mamme lavoratrici, ovvero l’esonero contributivo riconosciuto alle madri che hanno due o più figli. «Da un lato c’è un passo avanti, perché viene esteso anche alle dipendenti a tempo determinato e alle autonome. Dall’altro, tuttavia, ci saranno paletti più stringenti» spiega Francesca Nappi. «Per prima cosa, fino all’anno scorso l’esonero contributivo era totale, quindi le donne che ne facevano richiesta avevano accesso all’esenzione completa dei contributi. Quest’anno, invece, l’esonero sarà solo parziale: aspettiamo il decreto attuativo per capire esattamente la percentuale. E poi l’ultima Legge di Bilancio ha introdotto un limite di reddito per poter accedere all’agevolazione, pari a 40.000 euro all’anno, che fino al 2024 non era previsto. Questo, naturalmente, restringerà la platea di mamme beneficiarie».
Cosa succede all’assegno unico?
Resta invece praticamente invariato (al massimo potrà aumentare di qualche euro) l’assegno unico e universale, che viene erogato dall’Inps sulla base dell’Isee e va da un minimo di circa 55 euro a un massimo di 189 euro mensili. Una misura che Veronica conosce bene. «A me arrivano circa 95 euro al mese. Troppo pochi quando hai da pagare le bollette, la spesa, i libri per la scuola» dice. E prima di salutarci mi sussurra: «Per fortuna, è ancora inverno». Non capisco subito a cosa si riferisca, poi mi diventa chiaro.
Il periodo peggiore è l’estate. Quando finisce la scuola. Perché il centro estivo non me lo posso permettere e so di dover lasciare i bambini a casa da soli o con qualche amica
Il cohousing delle mamme single
Si chiama “Mommune”, dalla crasi di mom (“mamma”) e common (“in comune”), ed è un fenomeno diffuso soprattutto negli Stati Uniti. In sostanza, le madri single, divorziate, vedove vanno a vivere insieme, come in una comune, per dividere le spese. Non è un’usanza del tutto nuova: circa 30 anni fa Carmel Boss, imprenditrice di Santa Monica, in California, lanciò CoAbode.org, portale dedicato a soluzioni di cohousing ante litteram e fondato sul principio che due mamme single, se crescono i loro figli insieme, guadagnano rispetto al crescerli da sole. E non si parla solo di soldi (il risparmio stimato è del 40%), ma anche di tempo (circa 56 ore in più al mese) e di salute mentale.