«Anche oggi ci ho messo quasi 2 ore per uscire. Ora che ci penso, il 2 è una costante della mia quotidianità: 2 ore di preparativi, 2 passaggi di detergente e 2 di disinfettante, 2 mascherine, 2 paia di guanti. I respiri che faccio per calmarmi, invece, sono molti di più. Ho smesso quasi di contarli anche perché tante volte mi sembrano inutili. E spesso arrivo alla fine di questo rituale così stanca che non trovo nemmeno la forza di varcare la soglia di casa». Vittoria ha lo sguardo provato, le occhiaie sembrano un solco. Ma a colpirti di questa 40enne milanese, avvocato, moglie e mamma di 2 bimbi di 9 e 6 anni, sono le mani segnate dai troppi lavaggi. Infatti, le nasconde tra le braccia. Così come ha cercato di celare il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) che la tormenta da anni e ora è riesploso. «Forse sarà colpa della pandemia » sussurra.

Disturbo molto diffuso ma poco raccontato

Quella che per Vittoria è un’ipotesi sta diventando una certezza per gli specialisti. «Abbiamo condotto uno studio su un campione di 30 pazienti che avevano già una diagnosi e abbiamo notato un grave peggioramento dei sintomi. Che stanno anche comparendo in persone che prima stavano bene» racconta Davide Prestia, medico psichiatra del Policlinico San Martino di Genova, dove è responsabile dell’ambulatorio dedicato al DOC. E il fenomeno è in aumento ovunque. «Vediamo sempre più casi, soprattutto tra chi ne aveva sofferto in passato ed era riuscito a tenere il problema “sottosoglia”» conferma Gabriele Melli, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione Italiana Disturbo Ossessivo-Compulsivo (AIDOC) e dell’Istituto IPSICO di Firenze, autore del volume Vincere le ossessioni. Capire e affrontare il Disturbo Ossessivo-Compulsivo (Erickson). Questa patologia interessa il 2% della popolazione, come l’ansia e la depressione, ma se ne parla molto meno. «La maggior parte dei pazienti non esce allo scoperto, non sa di aver un problema che ha un nome ben preciso, pensa sia solo una questione caratteriale; poi prova molta vergogna per questo “difetto”, così lo ammette solo quando diventa invalidante, ovvero quando genera gravi problemi nella vita privata e lavorativa. Il disturbo è caratterizzato da ossessioni ricorrenti che portano a mettere in atto comportamenti esagerati e ripetitivi. Le ossessioni riguardano la salute e l’igiene o tragedie e disastri: c’è chi ha l’incubo di contrarre malattie e di trasmetterle ad altri e chi ha il terrore di essere responsabile di sciagure (come furti e incendi) o di procurare un incidente d’auto. Quindi, per esempio, disinfetta se stesso e o i propri oggetti per ore, controlla serrature e allarmi centinaia di volte. E arriva a non uscire».

Rituali di pulizia estremi

Vittoria non aveva mai superato i limiti. Aveva archiviato le sue manie, comparse durante l’università, come una parte della vita. «Erano sempre presenti, ma riuscivo a nasconderle, come si fa con la polvere sotto al tappeto. Magari amici e fidanzati mi prendevano in giro, ero quella con il disinfettante in discoteca, io glissavo. Quando ho iniziato a convivere con Aldo, oggi mio marito, lui mi ha spinto ad affrontare la questione. Così mi sono rivolta a uno psicologo, che ha associato il disturbo a un periodo di forte stress al lavoro e mi ha dato delle medicine per calmarmi. È andata meglio, ma poi la situazione è peggiorata con la maternità: cambiavo i pannolini dei bimbi anche 15 volte al giorno e sterilizzavo tutto quello che toccavano fino ai 4 anni. Non dormivo la notte pensando a come proteggerli e ho evitato di portarli al nido o di iscriverli a corsi sportivi perché mi sembravano luoghi pericolosi». I figli crescono, le sembrano più forti e l’ansia di racchiuderli in una bolla sterile si placa. Vittoria allenta le briglie anche con se stessa. Casa e giornate rimangono un tempio del pulito ma senza esagerazioni. Fino all’arrivo della pandemia.

Il culmine con la pandemia

«All’inizio sono stata persino meglio. Il mondo doveva fare quello che io faccio da tempo, non ero più la pazza in simbiosi con l’Amuchina» confida. «Anche stare in casa, con i miei riti e i miei tempi, mi ha dato tranquillità. Ho lasciato che Aldo si occupasse di spese e questioni pratiche e mi sono esiliata per diverse settimane. Anche se non lo ammettevo, però, il tempo che dedicavo a sanificazioni e procedure igieniche aumentava giorno dopo giorno. Non esisteva più altro per me e una sera perfino mio figlio maggiore mi ha urlato che stavo diventando matta. E ho capito che dovevo cambiare».

La pandemia ha legittimato le ossessioni

Questo copione sta andando in scena in parecchie case italiane. «Tanti pazienti ammettono di essere stati meglio durante il lockdown. Si sono sentiti legittimati a comportarsi come sempre e hanno vissuto la situazione come una sorta di riscatto» dice Gabriele Melli. «Ma questo ha cristallizzato e peggiorato il problema e, ora che la quarantena è finita, faticano a riprendere una normale quotidianità: non riescono a uscire, a tornare in ufficio o a cenare con i parenti, mentre i rituali di pulizia stanno fagocitando le loro giornate». È quello che gli esperti chiamano “periodo di malattia non trattata”.

Questa ossessione si può curare

«Purtroppo vediamo i pazienti anche dopo 10-15 anni dall’insorgenza della patologia» specifica Davide Prestia, psichiatra del Policlinico San Martino a Genova. «Meglio intervenire al più presto e rivolgersi a un esperto, che tranquillizza subito la persona. È un passo importante: è fondamentale spiegare bene di cosa si tratta e far comprendere la normalità della situazione, ossia il fatto che si può curare. La terapia prevede un mix di farmaci (si usano degli antidepressivi, ndr) e di psicoterapia cognitivo-comportamentale. In queste settimane, abbiamo puntato sulla telemedicina con controlli in videochiamata, ma il contatto personale è fondamentale. E nei prossimi mesi vogliamo monitorare i soggetti a rischio, come i figli di chi già ne soffre o chi ha episodi di ansia».

Anche quando ci racconta delle sue difficoltà, il pensiero di Vittoria corre subito ai figli. «Ho deciso di curarmi per loro: non voglio che mi vedano soffrire o, peggio ancora, che inizino a comportarsi come me. Ho approfittato di questo periodo per prendermi un’aspettativa dal lavoro, tanto ormai faticavo persino ad andare in Tribunale o a fare una riunione con i colleghi visto che tutto mi sembrava un covo di germi. Ora sto muovendo i primi passi con uno psichiatra: ho capito che, in fondo, è solo una delle tante sfide della vita. Sa che ho anche fatto una scommessa con mio marito? Se arriverà una seconda ondata di Covid ne uscirò più forte di prima e nel 2021 festeggeremo sia la fine della pandemia sia quella del mio disturbo».

La psicoterapia è fondamentale

L’arma migliore contro il DOC è la psicoterapia cognitivo-comportamentale. «Bisogna affrontare in modo graduale le paure e le ossessioni del paziente, cercando di capirne cause e radici e lavorando a livello cognitivo sul forte senso morale e di responsabilità. Si insiste sul fatto che l’intera esistenza è fatta di rischi, ogni azione ne comporta e non possiamo eliminarli» dice Gabriele Melli. «Poi si propongono esercizi pratici che simulano le situazioni critiche e allenano la persona a fronteggiarle in modo funzionale. Un esempio?Si tocca più volte una superficie o un oggetto molto sporco, non ci si lava subito le mani e, al contrario, ci si tocca la faccia. È un percorso lungo, che può durare anche un anno, ma alla fine i risultati sono ottimi».