Succede a migliaia di donne – molto più raramente agli uomini – in metrò, sugli autobus, in fila alla cassa del supermercato, al cinema. Qualcuno approfitta della stretta vicinanza o della ressa e appoggia una mano sul fondoschiena, su una coscia, sul seno. Si avverte una sensazione spiacevole, fastidiosa. C’è chi non riesce nemmeno a reagire e subisce in silenzio. E chi invece si ribella, spintona, urla, cerca aiuto. E poi denuncia. Per un molestatore – sempre che si riesca a identificarlo al momento o a riconoscerlo nel corso delle indagini – le conseguenze possono essere pesanti. La “mano morta” non è un gesto innocuo, neutro, scusabile. Per la legge può essere una forma di violenza sessuale. A ribadirlo a chiare lettere è la Terza sezione della Cassazione, chiamata a pronunciarsi sul ricorso presentato da un imputato “in azione” a Trieste.
Reato perché è stata invasa l’intimità della donna
I giudici della suprema corte, respingendo le argomentazioni difensive dell’uomo, hanno evidenziato la gravità dei gesti (aveva sfiorato e toccato le natiche della controparte e preso di mira una seconda donna) e confermato la condanna a suo carico inflitta in primo grado e ribadita in appello. Le motivazioni? “Il toccamento di quella specifica zona erogena – scrivono nella sentenza – è stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell’intimità della donna e animato da chiari impulsi sessuali percepiti dalla vittima”, che protestò energicamente (“gliene ho dette di tutti i colori”, aveva riferito lei) e se ne andò, per poi rivolgersi ai carabinieri.
Reato anche se la vittima si sottrae
La consumazione del reato di violenza sessuale – altro passaggio del provvedimento – è “evidente”. Basta il fatto, come è capitato, che un molestatore raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene). È invece ritenuto “indifferente” che il contatto corporeo sia di breve durata, che la vittima riesca a sottrarsi all’azione dell’aggressore o che quest’ultimo consegua o meno “la soddisfazione erotica”. Ulteriore considerazione dei giudici: “È consolidato il principio secondo cui l’elemento della violenza può estrinsecarsi, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difendersi“.
Reato anche senza sopraffazione fisica
L’avvocato torinese Giulio Calosso aiuta a capire meglio il provvedimento, emesso da un collegio per quattro quinti maschile: “La Corte di Cassazione, sostanzialmente, conferma il principio secondo cui il reato di violenza sessuale non deve essere necessariamente caratterizzato (come erroneamente qualcuno potrebbe essere portato a pensare) da sopraffazione fisica, ma è più che sufficiente un’azione insidiosamente rapida, tale da sorprendere la vittima e da vincere la sua volontà, impedendole così di difendersi. Ovviamente la condizione è che si tocchino zone erogene. Sfiorare il fondoschiena o il seno, anche velocemente e magari scherzosamente, offende infatti la libertà sessuale di una persona, perché si vìola la sua intimità”. Molti uomini, invece, sono portati a credere che sia una cosa da nulla. E sottovalutano la portata negativa dei toccamenti, il fastidio, il malessere provocato, l’umiliazione, la rabbia.
“Diverso è il discorso – continua il legale – quando gli atti, come ad esempio gli abbracci, non sono direttamente indirizzati a zone chiaramente definibili come erogene. In tali circostanze i giudici devono valutare la condotta nel suo complesso, il contesto sociale e culturale in cui l’azione è stata realizzata, il rapporto di relazione intercorrente tra i soggetti coinvolti e, in definitiva, l’incidenza del comportamento equivoco sulla libertà sessuale della persona ‘abbracciata’”.
Cosa rischia il colpevole
Ma che cosa rischia chi allunga le mani? La pena base per una violenza sessuale va da 6 a 12 anni per i crimini peggiori, al netto di attenuanti e aggravanti. Per atti meno pesanti (ad esempio gli atti di libidine, ritenuti diversi da uno stupro) è prevista una riduzione della pena anche di due terzi del totale. “Quando una persona viene condannata per la mano morta o per altri toccamenti in zone ‘off limits’ del corpo – precisa l’avvocato Calosso – nei tribunali viene spesso riconosciuta la minore gravità della condotta. Questo permette di abbassare la pena base per il reato fino a 24 mesi di reclusione. E dunque consente, se non si tratta di recidivi, la sospensione condizionale della pena. Insomma – conclude l’esperto – non è detto che si vada in carcere, non la prima volta”.