Noi mamme lo sappiamo, i cortili delle scuole dei nostri figli sono un perfetto osservatorio delle tendenze. Non solo di moda, anche quelle che riguardano i costumi, le abitudini, le relazioni, il linguaggio. È lì che incontro Carlotta, 16 anni, una cascata di ricci nocciola che spuntano da un cappellino con la visiera. «Mia madre si comporta come un’adolescente: è sempre attaccata al cellulare, manda vocali e chatta di continuo. Poi, la vedi? Si veste come me, felpa e jeans strappati, T-shirt corte e cappellini. Diglielo, per favore, è ridicola» mi sussurra con un misto di vergogna e spavalderia. Per prima cosa mi guardo: per fortuna quella mattina sono vestita come una ragazza di 45 anni – a noi piace definirci così – tutt’altro che “drip”, che nel gergo della Generazione Z significa “stiloso”. Ma poi alzo lo sguardo. E quello che vedo nel cortile della scuola – come anche in palestra, al lavoro, in treno, al supermercato – sono tante donne (e uomini) di 40-45-50 anni che fanno fatica a crescere e si comportano, si vestono e si divertono come adolescenti.
Chi sono i manolescent?
In America, dove questo fenomeno viene studiato già da qualche anno sia in sociologia e psicologia sia nel marketing, li chiamano “manolescent”, crasi tra “man” e “adolescent”. Ma non pensare ai classici Peter Pan, sono qualcosa di diverso, forse di più complicato, ovvero degli adolescenti di mezza età. I “manolescent”, infatti, sono uomini e donne tra i 35 e i 54 anni che lavorano, portano avanti una famiglia, crescono figli, assistono genitori anziani. Non sono quindi affetti dal terrore dell’impegno, anzi si assumono responsabilità, ce la mettono tutta, si stressano. Amano e si disamorano, si separano e ripartono. «Tutto appare in sintonia con l’età anagrafica: il problema è il modo in cui questa viene vissuta. La “normalità” apparentemente adulta è immersa in un terreno emotivo ricco di pensieri e comportamenti tipici dell’adolescenza. Non parliamo di sporadici desideri, ma di uno sguardo adolescente su se stessi e sulla realtà. Si vive una vita da adulti con modalità da ragazzi. Non si tratta di una seconda giovinezza, ma di un prolungamento anomalo della prima, un fatto che impedisce di sentirsi pienamente adulti e maturi» spiega Loredana Cirillo, psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano, che da anni si occupa degli adolescenti e dei loro genitori.
Il confronto con le altre culture
«È come se quella distanza che c’è sempre stata tra i ragazzi e gli adulti e che un tempo era molto chiara perché scandita da ruoli sociali, comportamenti, abitudini distanti e spesso, giustamente, in contrasto si fosse pian piano assottigliata» specifica Marta Villa, antropologa culturale del dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento. «Nei nostri studi notiamo che – rispetto al mondo occidentale dove la dimensione e la differenziazione culturale delle classi di età, in primis quella della “adultità”, non esiste più – nelle culture indigene dell’Africa, dell’America Latina e dell’Australia, è ancora molto forte e ben scandita. Merito anche dei riti di passaggio, come la coscrizione, che noi abbiamo abolito».
Perché siamo diventati manolescent
Ad avvicinarci troppo ai ragazzi siamo stati noi, non viceversa. E lo abbiamo fatto per il nostro benessere, a discapito loro. «I motivi per cui siamo diventati manolescent sono principalmente due. Innanzitutto, l’adolescenza è vista come l’età dell’oro, dello splendore delle forme, del fulgore, del corpo vivo, vitale, energico. Il tempo in cui tutto può ancora succedere. E stare lì, in quell’isola felice, ci permette di mettere a tacere la nostra paura di invecchiare che nella società di oggi, del bello, della performance a tutti i costi, non è visto come un accrescimento personale, ma come qualcosa da evitare» spiega la psicoterapeuta Loredana Cirillo. Del corpo parla anche l’antropologa Marta Villa: «Lo stare in questo permanente presente, in questa eterna giovinezza, non ci fa prendere coscienza del corpo che cambia. Ti guardi allo specchio e non hai la percezione di invecchiare. Non riesci a mettere a fuoco realmente qual è la tua immagine riflessa, un po’ come succede con l’anoressia quando ti vedi sempre grassa nonostante pesi pochi chili».
Noi mamme dobbiamo liberare spazio nella nostra mente
Questo “avvicinamento” è dovuto anche a qualcosa di più profondo, intimo. «Il ruolo femminile oggi non è più vincolato a quello materno. Siamo donne, lavoratrici, compagne e anche madri. Per potere essere tutto questo abbiamo bisogno di libertà, di poterci “muovere”. E avere un figlio, nella mente, toglie spazio alla realizzazione di sé, che è uno dei valori fondamentali in questa società individualistica. Per liberare il nostro pensiero, quindi, avevamo bisogno di mettere i giovani al pari nostro, dando loro competenze ed autonomie pratiche ma soprattutto emotive che in realtà a quell’età non hanno ed è giusto che non abbiano» sottolinea Loredana Cirillo.
I Manolescent si perdono l’età della saggezza
Il risultato? I ruoli in parte si sono invertiti: noi manolescent ci comportiamo da adolescenti, o almeno ci proviamo. E non diventando mai “grandi” perdiamo anche la fase della vecchiaia, quella della saggezza, della maturità, della completezza. I giovani, invece, fanno gli adulti.
Ma quello che è peggio è che in questa adolescenza di mezza età non siamo felici
«Perché solo se hai un progetto, un futuro, qualcosa da costruire e di cui prenderti cura potrai stare bene con te stesso» dice Marta Villa. «Cosa che invece non puoi fare vivendo in un eterno presente».
Gli adolescenti sono smarriti e arrabbiati
Felici non lo sono neanche i ragazzi che, come mi ha fatto notare Carlotta, ci guardano smarriti e un po’ arrabbiati. «Sono spaesati perché noi adulti dovremmo dare loro un modello da emulare o a cui ribellarsi, come è normale che avvenga tra generazioni diverse. Ma noi non proponiamo nessun modello, quindi li priviamo di un passaggio educativo fondamentale che è quello del confronto. In più, ce l’hanno con noi perché si sentono defraudati della loro giovinezza;
perché vorrebbero fare le cazzate tipiche di quell’età tra di loro, e non con accanto un 50enne;
perché noi occupiamo i loro spazi sociali e li scimmiottiamo anche nel modo di vestire» spiega l’antropologa che, ridendo, aggiunge: «Mio padre non si è mai vestito da paninaro. Al limite qualche volta guardavamo insieme Drive in».
I manolescent dovrebbero fare un passo indietro
Per ritrovare la giusta distanza e non rischiare che nasca una sfiducia dei ragazzi nei nostri confronti, dovremmo fare un passo indietro. «E tornare a essere più autorevoli, non creando una gerarchia normativa che non avrebbe senso, ma instaurando una buona relazione che sia di sostegno e occupando ognuno il proprio spazio» conclude Loredana Cirillo. «Per riuscirci dovremmo imparare a fare le domande giuste, non riempirli di parole ma stare ad ascoltarli, non mettere a tacere il loro vissuto ma validarlo perché sentirsi capiti è il primo passo per diventare grandi». Non mi sono dimenticata di quello che mi aveva detto Carlotta. Pochi giorni fa ho parlato a Veronica, mia amica e sua mamma. Lei mi ha ascoltato, ha sorriso e mi ha detto: «Ok, “dissata”». Che a grandi linee vuol dire “criticata”. Perché proviamo a copiarli anche nello slang. «Che però, per fortuna, resta ancora una forma di auto-protezione dei ragazzi, un modo per tenerci fuori. Il linguaggio lo impari solo se fai parte davvero del gruppo dei “nativi”» conclude l’antropologa. Almeno uno dei loro spazi è salvo!