In questi giorni in cui non si fa che parlare di family day, diritti delle coppie gay, genitori rainbow, sono a scrivere la mia storia per esprimere il mio totale disappunto verso coloro che pretendono di poter decidere della vita altrui, senza far decidere al popolo quale possa essere la cosa migliore.
In un’Italia moralista, in cui se ti mostri o esprimi pensieri “omofobi” vieni additato e colpevolizzato, solo forse per sentirsi a posto con la propria coscienza, io esprimo il mio pensiero senza paure di venire accusata, proprio perché chi non vive sulla propria pelle tali esperienze non può e non potrà mai capire cosa si prova.
La mia storia inizia 15 anni fa, giovane ragazza conosce il suo futuro sposo, ci sposiamo innamoratissimi dopo 3 anni e dopo altri 5 anni nasce un bimbo stupendo.
Il matrimonio prosegue fra alti e bassi, come tutti i matrimoni, finché circa due anni fa inizio a vedere nel comportamento del mio ex marito atteggiamenti sempre più strani, diventa molto nervoso su tutto, continui mal di testa, rapporti inesistenti. Lui si giustificava che ero io a non riuscire più a fargli provare desiderio, che non ero capace d’essere donna. Di questo mi sono fatta sensi di colpa per un sacco di tempo ma ora, grazie all’aiuto di psicologi, ho capito che il problema era da sempre legato a lui e alla sua sessualità repressa e mascherata con l’avere accanto una bella moglie e un figlio.
Il mondo mi crolla addosso quando lui se ne va di casa e io scopro sul pc collegamenti infiniti a chat e video gay. Capisco tutto … mi sembra di impazzire. Devo pensare a mio figlio e affronto il discorso: lui ammette e non sa bene cosa fare. Per il bene del bambino ci riproviamo e tutto sembra andare bene, ma poco prima di Natale capisco che le sue “connessioni via chat” erano sempre attive, e anzi scopro che ha un amante uomo a Torino.
Gli intimo di andare via e nel giro di una giornata tutto finisce.
La separazione avviene in fretta, non ostacolo in nessun modo il fatto che lui possa vedere il bambino, troviamo un accordo per l’aspetto economico e decido di mettere in vendita la casa acquistata di comune accordo con un mutuo ancora da estinguere, casa acquistata con mille sacrifici per creare un futuro a nostro figlio.
La sofferenza che provo nei mesi a seguire è indescrivibile. Mi crolla il mondo addosso.
E per di più mi porto dietro questo segreto, perché lui non fa un “coming out” ufficiale, vive una doppia vita.
Si vergogna, ha paura che al lavoro, gli amici, la famiglia vengano a conoscenza di tutto.
Io gli ho suggerito più di una volta di parlare con uno specialista, ma nulla.
Agli occhi di tanti lui è l’ex marito che ha deciso di porre fine a un matrimonio perché “non si andava più d’accordo”, lui è un bravo padre, lui è il cane bastonato che non ha nessuna nuova compagna, mentre io si, finalmente ho trovato un uomo che mi sa amare veramente e che io amo con tutta me stessa.
Inizia così a fare conoscere mio figlio al suo compagno, io non sono d’accordo su questa cosa, assolutamente.
Un bambino non può capire il perché suo papà frequenta solo e sempre quell’uomo, anche se vissuto davanti a lui come amico.
In tutte queste storie dimentichiamo sempre che oltre alla sofferenza umana ci sono sempre purtroppo di mezzo bambini, che si ritroveranno a capire troppo presto cosa vuol dire sessualità e omosessualità. Non è corretto farli crescere in una realtà diversa, se pur piena d’amore nei loro confronti.
Ho trovato un forum di una ex moglie come me che condivido pienamente, ve lo riporto.
“C’è infatti una fetta non piccola di mondo, il rovescio di una medaglia, che non viene presa in considerazione – e sono gli ex mariti e le ex mogli di mogli e mariti dichiarati lesbiche e omosessuali dopo il matrimonio. Ai nostri compagni è toccata la fatica del “coming out”? Su di noi è passato un uragano che ci ha costretti a guardare la vita in un altro modo. Non abbiamo scelto noi di sposare un omosessuale, non abbiamo scelto né preso parte –perché non ci è stato concesso- al suo tumultuoso cammino.
Abbiamo subito le sue immotivate lotte interiori e i suoi muti silenzi, gli slanci affettivi negati, la persona che ami che diventa fredda e impermeabile al tuo volerle bene.
Abbiamo subito come un terremoto la dichiarazione dell’omosessualità del partner o abbiamo lottato per farci dire qualcosa che il nostro inconscio segretamente sentiva.
Abbiamo vissuto il conflitto interiore di capire cosa è veramente l’omosessualità, abbattendo a fatica i pregiudizi che la società, l’educazione, il nostro credo ci avevano dato.
Abbiamo accettato la nostra debolezza e impotenza di fronte ad uno “status” più grande di noi che nulla ha a che fare col nostro amore.
Abbiamo vissuto la sofferenza di sentirci “inadeguati al partner” e “offesi” nella nostra intimità di donna o di uomo.
E non abbiamo nessuno con cui confrontarci su che cosa stiamo passando, nessuno che ci sia già passato e ci rassicuri che ce la si può fare, che si può uscirne vivi senza uscire di senno, nessuno con cui confrontarci nelle scelte educative dei figli, nelle difficoltà che ci fanno le istituzioni, nelle nostre quotidiane lotte interiori.
Sto soffrendo come un cane, ma sto anche scoprendo di poter essere una donna diversa, più libera, più vera, più rispettosa di me stessa. Sto facendo anche io il mio “outing”, sono stata obbligata a farlo perché ho scelto di non soccombere agli eventi ma di viverli come possibilità di incontro e di crescita interiore. Sto lottando con la difficoltà di non poter più fare le cose di prima come prima. Eppure io non sono omosessuale, non ho scelto di subire le rivelazioni di mio marito, non ho scelto di porre fine al mio matrimonio e non ho scelto la sofferenza di veder mutare questo amore.”
Condivido pienamente questo pensiero. Quindi io mi chiedo oramai da quasi due anni: “Chi difende i miei diritti? Chi difende i diritti del mio bambino?”.
Non pensiamo solo ai diritti che vogliamo dare alle coppie di fatto, io sono d’accordissimo che si possa scegliere la propria sessualità, non ho nulla contro lesbiche o omosessuali, ma quando ci sono di mezzo bambini non bisogna scherzare.
Ogni bambino ha il diritto di crescere in una realtà eterosessuale, e non dovere crescere prima di quanto richiesto.
Questo è il mio pensiero.
Non mi firmo perché il mio ex marito vuole mantenere l’anonimato.
Ecco invece la storia di Giulia che, dopo un percorso di psicoterapia costellato di sofferenza, ha accettato che il figlio frequenti il nuovo compagno dell’ex marito.