Luca non è stato il mio primo amore, racconta Giulia. Forse proprio per questo ho creduto davvero potesse essere la storia della vita. Un colpo di fulmine durato anni, una favola. Anche oggi, se ci ripenso, mi vengono i brividi. Dopo cinque anni di amore immenso ci siamo sposati e dopo due anni è nato nostro figlio. La quotidianità non ci aveva tolto la voglia reciproca, la curiosità, l’incanto ad ogni sguardo. Mai nulla era scontato. Continuavo a sceglierlo in ogni momento.
Mentirei se dicessi oggi, con il senno del poi, che mi ero accorta di qualcosa, una sbavatura, una disattenzione. Mai.
Me lo disse una sera che il bimbo era dai miei genitori: “Non saprei se definirmi omosessuale oppure no, l’unica certezza è che sono innamorato”.
Non avevamo mai smesso di fare l’amore, mi cercava sempre, era presente, propositivo, come era possibile? “Tu non puoi neanche immaginare lo strazio che provo io. Per te, per nostro figlio. Per noi” ripeteva mentre piangevamo insieme.
Ci siamo rivolti a psicologi, preti, chiunque; io non volevo credere, non potevo accettare non tanto il fatto che fosse innamorato di un uomo, la cosa comunque mi sembrava assurda, ma che potesse aver smesso di amare me. L’alchimia, l’incastro, tutto era perfetto. Lui mi abbracciava, mi diceva “Ho cercato di soffocare, ti giuro”.
Per un periodo l’ho sostenuto. Andava via per un periodo, poi tornava. Ero convinta si trattasse di una crisi passeggera.
Ho dovuto accettare che così non era. È stata durissima. Ho cominciato a odiarlo. Lo ricattavo mettendo avanti nostro figlio. L’ho offeso, deriso.
Una bravissima psicoterapeuta mi ha tirata fuori dal tunnel che avrebbe distrutto me per prima se avessi perseverato lungo quella strada.
Ho allentato per un lungo periodo i miei rapporti con Luca ma ho lasciato che mio figlio frequentasse la casa del padre e del suo compagno con la massima libertà. Non so se si sia trattato di fortuna, però so che le persone intorno a noi, i genitori dei compagni di scuola, gli insegnanti, non hanno fatto sentire mio figlio diverso. Non lo hanno preso in giro. Non hanno evitato gli inviti pomeridiani per i compiti nella casa paterna, non lo hanno ghettizzato. Ho imparato da loro. Ho imparato ad accettare dall’amore semplice di mio figlio e dalla serenità dei suoi amici.
Quando quella lunga storia si è conclusa ho visto Davide soffrire veramente: tra mio figlio e Paolo si era stabilita una complicità spontanea, naturale. Ancora oggi, e di tempo ne è passato, si sentono e incontrano non appena possono.
La stessa simpatia non è nata con il nuovo fidanzato di Luca, qualche attrito c’è, ma è legato a differenze caratteriali. Il rispetto c’è, però.
Oggi Davide ha 18 anni, una fidanzata, una sorella (che ho avuto con il mio secondo marito), frequenta l’ultimo anno al liceo scientifico. Vuole diventare architetto come Paolo.
Problemi ce ne sono stati. Però credo di poter dire che durante un percorso di crescita da quelli non si sfugge. Anche il nostro continua ad esserlo. Si smette di essere bambini ma di diventare adulti mai.
Nei momenti importanti io e Luca abbiamo fatto sempre squadra, i nostri nuovi compagni non hanno interferito, siamo riusciti a non andare alla deriva.
La considero, oggi, una grande benedizione. Questo conta. Conta non essersi perduti, conta non aver sprecato il senso della vita e il progetto che avevamo per Davide: amarlo. Accompagnarlo.
Ecco, la storia di Giulia è toccante. Ma lo è ancora di più quella di un’altra donna che ci ha scritto in redazione raccontandoci la sua storia di sofferenza. Il suo è un punto di vista diverso: a distanza di anni, non accetta che il figlio frequenti la casa dell’ex marito e del compagno di lui. “Un conto” ci dice “sono i diritti delle coppie gay, un conto il dolore dei bambini”. Leggete cosa scrive.