Una sentenza di un’alta corte giapponese mette in discussione la politica del governo nipponico contro il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Il pronunciamento ha suscitato speranze nella comunità LGBTQ+, anche se la sentenza può ancora essere appellata alla Corte Suprema, la più alta istanza giudiziaria del Paese.
Il pronunciamento dell’Alta Corte di Tokyo
L’Alta Corte di Tokyo ha stabilito che la mancanza di riconoscimento legale del matrimonio omosessuale nel Paese è incostituzionale: i giudici hanno definito il divieto in corso “un’infondata discriminazione legale basata sull’orientamento sessuale”, affermando che viola la garanzia costituzionale del diritto all’uguaglianza, nonché la dignità degli individui e la parità tra i sessi.
La precedente sentenza sui matrimoni gay
La sentenza è stata emessa dopo che un tribunale distrettuale della capitale nipponica, di rango inferiore, aveva stabilito nel 2022 che il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso era in “stato di incostituzionalità”.
Un segnale al parlamento nipponico
Il pronunciamento dell’alta corte, contrariamente a quello del 2022, è interpretabile come una sollecitazione diretta al parlamento a legiferare per ovviare a un vulnus del sistema giuridico giapponese. Il segretario di Gabinetto Yoshimasa Hayashi ha tuttavia dichiarato che la sentenza non è ancora definitiva e che il suo governo continuerà a seguire gli altri casi giudiziari in corso.
Giappone, unico fra i 7 Paesi più industrializzati
Il Giappone rimane l’unico paese del Gruppo dei Sette principali paesi industrializzati a non aver legalizzato le unioni tra persone dello stesso sesso o le unioni civili, nonostante la crescente pressione della comunità LGBTQ+ e dei suoi sostenitori.
I ricorsi delle coppie gay
Molti sono i ricorsi di coppie giapponesi omosessuali che hanno rivendicato in sede giudiziaria l’uguaglianza matrimoniale. Diversi querelanti hanno chiesto risarcimento da un milione di yen (circa 6.500 dollari). Pur riconoscendo le loro ragioni, l’Alta corte ha confermando la sentenza di una corte di rango inferiore che aveva negato ai querelanti i risarcimenti in denaro.