Fanno quasi tenerezza gli abitanti di Mauritius alle prese con il disastro ambientale peggiore della storia dell’isola. Le autorità ammettono di non avere abbastanza risorse contro la marea nera provocata dal cargo giapponese MW Wakashio che, con le cisterne piene di 4000 tonnellate tra diesel e petrolio, si è spezzato a metà il 15 agosto di fronte alla barriera corallina su cui si era incagliata a fine luglio.
Il primo ministro Pravind Jugnauth dichiara lo stato di emergenza, la Francia e il Giappone intervengono con dei cargo ma in prima linea ci sono loro, i pacifici mauriziani, che in questo paradiso naturale corrono ai ripari con una soluzione ecologica al cento per cento. Si tagliano i capelli e li donano. L’obiettivo è realizzare speciali galleggianti in grado di trattenere il carburante. I parrucchieri dell’isola si stanno mobilitando per raccogliere le ciocche tagliate ai clienti, mentre alcuni personaggi pubblici si sono esposti personalmente tagliando le chiome, come la deputata Joanna Bérenger su Facebook che qui mostra come si realizzano i galleggianti.
Su Instagram a inforcare le forbici è la scrittrice mauriziano-americana Kester “Kit” Grant che invita tutti a fare altrettanto “per il bene della nostra meravigliosa isola”.
Come fare una donazione
Sui social aumentano le richieste anche dall’America e dalla Cina di partecipare alla donazione delle chiome ma, per ora, la raccolta dall’estero dei capelli non è stata attivata. Si chiede invece di donare soldi attraverso una speciale piattaforma oppure di dare una mano seguendo l’account Together for Mauritius, per acquistare magliette e borse prodotte dai volontari.
Nei galleggianti, capelli e paglia
La raccolta dei capelli resta per il momento appannaggio locale. Sull’isola abitanti e volontari delle Ong si danno un gran da fare per creare galleggianti fatti di tubi di tessuto (in genere collant) in cui inseriscono paglia, foglie di canna da zucchero e, appunto, capelli. I capelli, come gli altri due materiali, oltre a essere disponibili in natura sono un materiale estremamente assorbente, in grado di respingere l’acqua e attrarre il petrolio e le sostanze oleose in generale.
La certificazione della Nasa
L’efficacia dei capelli umani nella “cattura” del petrolio non è frutto della saggezza popolare ma è certificata da alcuni studi scientifici, come una ricerca della NASA effettuata alla fine degli anni Novanta. Nello studio condotto da scienziati dell’Università della Tecnologia di Sydney e pubblicato sulla rivista Environments si dimostrò che la capacità assorbente delle barriere fatte da capelli umani (e peli di cane) è paragonabile a quella di materiali sintetici in polipropilene, utilizzati normalmente per arginare le fuoriuscite di petrolio. L’intuizione venne nel 1989 a un parrucchiere, Phil McCrory, dopo uno sversamento in Alaska. Nel 1995 ottenne il brevetto, certificato poi dalla Nasa e sperimentato nel 2010 in occasione dell’incidente all’impianto di trivellazione Horizon, nel Golfo del Messico. Nel 2015, l’Università di Coventry ha misurato l’efficacia dei capelli in termini numerici: sono in grado di assorbire sostanze oleose fino a tre, sei volte il loro peso. Quindi un chilo dovrebbe essere in grado di catturare l’equivalente di tre, sei chili di petrolio.
Perché i capelli assorbono il carburante?
Ma perché i capelli hanno questa capacità assorbente? Lo chiediamo al dottor Cosimo Fasulo, specialista in Tricologia e Scienze cosmetologiche. «I capelli hanno una carica negativa dovuta alla cheratina, la proteina di cui sono costituiti e che a sua volta è formata da tanti aminoacidi. I più importanti sono la cistina e la metionina, che nella loro composizione chimica hanno la parte terminale in zolfo (quella che, quando avviciniamo troppo il phon, dà lo sgradevole odore di bruciato). Per questo il capello attira a sé le cariche positive, tipiche delle sostanze oleose. E se è tinto o danneggiato, ancora meglio perché, avendo le squame aperte, risulta più elettrico, quindi attira meglio le cariche positive». Quelli, insomma, che si attaccano alla spazzola, sarebbero ancora più efficaci per aiutare i mauriziani. Viene da chiedersi, però, quanti capelli occorrerebbero per contenere un’emergenza del genere. Se, quindi, si tratta di un’idea molto romantica o se può invece aiutare davvero a gestire questa difficile situazione.
Il business della raccolta dei capelli
In realtà, la raccolta dei capelli ha molto poco di romantico. Basti pensare al business delle parrucche che, nella sola Gran Bretagna, oggi conta un giro di 48 milioni di sterline, comprese le extension. Una parrucca costa anche più di mille euro e un set completo di extension arriva a 500. I capelli hanno un costo che varia dai 100 ai 6mila euro al chilo, in base alla qualità e alla lunghezza. E poiché la domanda di capelli veri ha superato di gran lunga l’offerta, oggi – secondo Philippe Sharp, manager di una delle aziende di parrucche ed extension più famose al mondo – i capelli sono diventati un bene di consumo molto prezioso, simile all’oro, ai diamanti e al petrolio. Nel nostro piccolo, anche noi in Italia avevamo un’economia che si reggeva su questo commercio: il paese di Elva, nel cuneese, fino agli anni Sessanta realizzava parrucche esportate in tutto il mondo. Ce lo racconta Daniela Dao Ormena, appassionata della cultura alpina di Elva, dove si trova “Il museo dei capelli”. «Gli elvesi si spingevano in tutta Italia per convincere le ragazze a farsi tagliare le chiome in cambio di denaro o barattandolo con stoffe o altro. La quantità raccolta variava a seconda della consistenza dei capelli tagliati e talvolta occorrevano tre chiome intere per poterne fare un chilo. I capelli più ricercati erano quelli biondo cenere che trovavano soprattutto nei paesi di montagna dove le ragazze li proteggevano dal sole con dei foulard legati sotto la nuca».
Il mercato nero dei capelli
I capelli insomma sono sempre stati materiale prezioso, oggetto di scambio, una sorta di “bene rifugio” da tirar fuori nelle emergenze. Che potessero esserlo anche per l’ecologia, è cosa recente. Come recente è il caso indiano sollevato dall’Observer sul tempio Venkateswara, nei pressi di Tirupati, nell’Andhra Pradesh, visitato da venti milioni di persone all’anno. Da sempre i pellegrini si rasano i capelli come sacrificio a Vishnu, ma le chiome tagliate vengono raccolte, sistemate in un magazzino e rivendute in Occidente, andando ad arricchire le autorità religiose che si rifanno a questa divinità. Questo sistema ha reso questo tempio il più ricco dell’India, ma ha anche creato un mercato nero parallelo, dove donare i capelli per pochi euro è diventato l’unico mezzo per sostentarsi per la maggior parte della popolazione, le donne in particolare.
Ma quanti capelli servono a Mauritius?
Facendo due conti, comunque, la soluzione mauriziana finisce per restare archiviata tra le idee romantiche, perché per realizzare un chilo di capelli ci vogliono almeno cinque code, che diventano cinquemila per ogni tonnellata di greggio. E siccome le tonnellate sono 4mila, quante donne dovrebbero donare le chiome per poter avere qualche risultato?