Quante volte sarà capitato di non capire cosa c’è scritto sull’impegnativa o su una ricetta per un farmaco? Che la grafia dei medici sia spesso incomprensibile non è una novità, tanto che esiste una nutrita serie di barzellette a riguardo. In realtà non c’è nulla su cui scherzare, specie se si tratta di salute e prescrizioni mediche. Basta scambiare un numero per un altro, ad esempio, e cambia il dosaggio di un farmaco. Oppure può capitare di non capire una sigla usata dal medico e l’errore diventa altamente probabile. Da qui l’iniziativa del ministero della Salute che ha emanato una circolare per tutti i medici: stop all’uso del corsivo, niente abbreviazioni né sigle a meno che non siano standardizzate, meglio i numeri arabi rispetto a quelli romani
Ecco come cambieranno le ricette.
Le novità
Le indicazioni del ministero sono chiare: usare lo stampatello per le prescrizioni scritte a mano; indicare il nome del principio attivo del farmaco per esteso e lasciare uno spazio tra nome e dosaggio; usare i numeri arabi e non quelli romani; specificare chiaramente la posologia, evitando indicazioni generiche some “un cucchiaino” o “un misurino”. Ma non finisce qui: nelle indicazioni fornite alle Regioni dalla Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero c’è spazio anche per l’indicazione categorica a non usare la dicitura “al bisogno”, così come le abbreviazioni in latino (“die” al posto di giorno, ad esempio) o in inglese. Si chiede anche di “non mettere lo zero dopo la virgola per le dosi espresse da numeri interi”. A causa di una grafia poco chiara, per esempio, un 2,0 milligrammi potrebbe facilmente diventare un 20, con conseguenze anche gravi, specie se si tratta di farmaci antineoplastici o di protocolli chemioterapici.
Infine, si chiede di disporre di sistemi informatizzati dotati di apposita legenda che aiutino, qualora di utilizzi un acronimo, a capirne il significato. Le raccomandazioni, dunque, hanno lo scopo di “prevenire gli errori in terapia conseguenti all’utilizzo di abbreviazioni, acronimi, sigle e simboli (non standardizzati) e promuovere l’adozione di un linguaggio comune tra medici, farmacisti e infermieri”, per evitare “errori e danni ai pazienti” come chiarisce il Ministero sul proprio sito.
Ma è davvero una piccola rivoluzione?
Rivoluzione o burocrazia “inutile”?
Se le novità del Ministero sono state accolte con sollievo da migliaia di pazienti, alle prese con grafie spesso incomprensibili, sono molti i medici a nutrire perplessità: “Negli ultimi 5/6 anni c’è stato un continuo aumento della burocrazia, anche per i medici. Si sono moltiplicate le leggi e le norme che rendono difficile il lavoro del medico di base che dovrebbe invece concentrarsi sulla cura del malato” spiega Francesco Baldan, fino a poco tempo fa referente veneto dell’Associazione Nazionale Medici di Base.
Ma una grafia migliore non aiuterebbe tutti? “Ben venga lo stampatello, perché è vero che molti medici non capiscono ciò che loro stessi hanno scritto. Ma con l’informatizzazione il problema è ormai limitato: le prescrizioni così come i referti sono scritti a computer e persino la firma è digitale, elettronica” aggiunge Baldan.
Brutta grafia o deformazione professionale?
“In realtà quella che spesso viene definita una pessima grafia dei medici non è una scrittura brutta. È rapida e semplificata nelle forme, ma ciò è dovuto al fatto che spesso devono rispettare i tempi di visita e devono essere sintetici nel loro lavoro” spiega la grafologa Simona Tosi. “Quando descrivono una terapia, prima lo fanno verbalmente, poi la scrivono in modo non approfondito, limitandosi al nome del farmaco o al dosaggio, considerando la ricetta semplicemente un appunto, un promemoria. I medici comunque sono abili nella scrittura, anche perché la usano quotidianamente, anche se di recente il computer ha sostituito le vecchie ricette a mano” aggiunge Tosi.
A mano o a computer?
“Il vero problema non è la grafia quanto piuttosto il fatto che non c’è uniformità tra i software utilizzati in campo sanitario. Ad esempio, qui alla Asl 6 Euganea abbiamo ben 4 programmi informatici per la gestione dell’ambulatorio medico e ci sono difficoltà di dialogo tra i vari sistemi. Ci sono case di cura che utilizzano software che non sono compatibili con quelli del sistema sanitario dell’Usl, dunque le banche dati non sono leggibili” spiega Baldan, che aggiunge: “In realtà basterebbe investire in una informatizzazione omogenea: se la Regione assegnasse gratuitamente ai medici un software unico, potrebbe disporre di un unico database, risparmiando denaro e ottimizzando il servizio, senza dover ricorrere a società esterne di raccolta dati”.
Sigle uguali per tutti
In attesa di programmi informatici standard, il Ministero esorta però a uniformarsi sulle sigle usate dai medici. Non a caso la European Society of Clinical Pharmacy (ESCP) ha predisposto un glossario per disporre di una terminologia uniforme. Lo scopo è quello di prevenire possibili errori di interpretazione. Secondo una ricerca condotta negli Usa (dove comunque usano lo stampato), il 4,7% dei 643.151 errori commessi tra il 2004 e il 2006 in 682 strutture sanitarie americane era dovuto all’uso di abbreviazioni. “D’altra parte il ricorso dei medici a sigle e abbreviazioni è legato al loro percorso di studi. Tutti tendono ad abbreviare, magari usando la x al posto del per. Per un medico ciò vale ancora di più” dice Tosi.
Per ridurre al minimo il rischio di interpretazioni errate, inoltre, il ministero della Salute ha raccomandato di evitare le prescrizioni verbali, che potrebbero dare adito a confusione tra farmaci con nomi o pronuncia simili.