Chi ha pelle e occhi chiari è più a rischio di melanoma. O almeno è quello che abbiamo sempre creduto. Ma adesso una nuova ricerca ha scoperto che non è così: si può ammalare anche chi ha la carnagione scura. A fare la differenza infatti è un mix di particolari geni coinvolti nello sviluppo di questo tumore dermatologico, che possono essere presenti al di là delle caratteristiche individuali.
I raggi solari sono come una miccia
Lo ha scoperto il più vasto studio mai condotto fino a ora, che ha coinvolto persone di tutte le nazionalità e con fattori di rischio diversi. Significa allora che non c’entra più il sole e si ammala solo chi ha questi geni? No, al contrario, i raggi solari sono la miccia che può fa partire la malattia, se ci si espone in modo sconsiderato. «La particolarità di questo studio è che ha permesso di mettere insieme per la prima volta popolazioni diverse, per cercare di capire l’impatto dei geni, in aggiunta ai fattori di rischio già conosciuti» spiega Maria Teresa Landi, ricercatrice italiana che lavora al National Cancer Institute e primo autore dello studio. «Sappiamo infatti che gli australiani hanno un rischio altissimo perché hanno la pelle chiara e sono esposti al sole tropicale. E che le popolazioni mediterranee sono più protette perché hanno la pelle più scura. Ma volevamo vedere se una combinazione di varianti genetiche contribuisce al rischio di malattia anche in chi ha la carnagione olivastra, tipica delle nostre zone».
Le regole e i controlli necessari
I test effettuati su popolazioni così differenti tra di loro hanno fatto emergere l’esistenza di geni comuni. «Al di là della pigmentazione, se una persona ha una combinazione di geni alterati è a rischio di melanoma dovunque viva» continua la Landi. «Dagli studi è emerso che sono geni diversi: sono coinvolti nella riparazione del dna dai danni solari oppure controllano il ciclo cellulare e i fattori immunitari. E questo spiega come mai il melanoma non risparmia chi ha pelle olivastra, capelli e occhi scuri». Nessuno è immune, ma non è un concetto semplice da accettare, come dimostrano le evidenze: chi ha la carnagione chiara mette in pratica le regole di buon senso quando si espone al sole, al contrario di chi ha la pelle scura, perché non si scotta. «Quello che bisogna far comprendere è che il sole fa male anche quando non provoca eritemi e ustioni» interviene Michele Maio, direttore del Centro di immunoncologia del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena e ricercatore Airc, l’Associazione ricerca sul cancro. «I raggi solari, e specialmente quelli delle ore centrali della giornata, danneggiano il Dna delle cellule e, in chi ha i geni identificati dallo studio, possono creare il terreno favorevole per lo sviluppo del tumore, nell’arco di 20-30 anni».
Il controllo annuale è per tutti
Per questo anche in Italia sono state intensificate le campagne di prevenzione, concentrando l’attenzione su due messaggi chiave: il sole va preso con parsimonia e occhio ai nei. «Oggi anche alla luce dei risultati del nuovo studio il controllo dei nei diventa imperativo per tutti» continua Maio. «E visto che per chi ha la pelle olivastra può essere più complesso, è bene insegnare anche da noi la regola inglese: farsi controllare una volta all’anno e in ogni caso quando si scopre un neo diverso dal solito, per forma, dimensione o colore, anche in parti del corpo poco esposte al sole come la pianta dei piedi
Le under 50 e le nuove categorie a rischio
Le campagne preventive stanno per fortuna già cominciando a dare i primi frutti per quanto riguarda le diagnosi precoci, e questo spiega l’aumento dei casi in una fascia d’età più giovane. Dati alla mano, è la terza forma tumorale più frequente tra le donne under 50. «I cambiamenti sono visibili nella pratica quotidiana » dice Maio. «Le diagnosi riguardano sempre di più forme di melanoma cosiddette sottili e quindi risolvibili solo con l’intervento chirurgico». Man mano che l’età avanza, però, e in particolare negli uomini, l’attenzione diminuisce e il neo viene scarsamente considerato persino quando è visibilmente cambiato nell’aspetto. Sono i casi più gravi e che richiedono terapie impegnative. «Oggi ci sono nuovi farmaci molto efficaci per tutte le forme di melanoma, comprese quelle avanzate» conclude Maio. «Anche in questo caso, la ricerca in ambito genetico è stata determinante perché proprio la scoperta di geni alterati in chi era malato ha consentito la messa a punto di terapie mirate».
La prevenzione personalizzata
E nel futuro? La ricerca sui geni alterati ha due filoni. Uno punta a capire come intervenire sulla cellula tumorale quando “costruisce” barriere composte da geni alterati con lo scopo di impedire l’azione degli immunoterapici, una classe di farmaci innovativi. Alcuni studi sono già in fase avanzata e a breve saranno disponibili i primi risultati su un principio attivo che, unico al mondo, riesce a modificare la capacità del tumore di “alzare” le barriere genetiche, in modo che l’immunoterapico riesca ad agire. L’altro binario riguarda un ulteriore sviluppo dello studio del National Cancer Institute. «Vogliamo creare un algoritmo per individuare le persone ad alto rischio di ammalarsi» conclude la dottoressa Landi. «Il risultato del test genetico andrà inserito insieme al colore della pelle, il numero di nei, le scottature dell’infanzia, per citare solo i principali fattori. L’obiettivo è di rendere questo calcolo disponibile per tutti, probabilmente su un sito web ad hoc e sarà il punto di partenza per una prevenzione superpersonalizzata».