La protesta giovanile spesso si nutre di sigle incomprensibili. Negli anni ’90 salari in picchiata, ore di sonno insufficienti e nonni lontani avevano fatto da sfondo alla nascita dei Dink (acronimo di “Double income, no kids”), cioè i 20-30enni che pur potendo contare su 2 stipendi non riuscivano a permettersi un figlio. Intorno a quella che era l’espressione di un disagio vero nacquero analisi sociologiche, manifestazioni di piazza, documentari.
E lo stesso accade oggi, perché tra le motivazioni che spingono sempre più persone a non diventare genitori è emerso un altro tema cruciale: la salvaguardia del Pianeta. Benvenuti nello strano mondo dei Gink (“Green inclination, no kids”), gli uomini e donne in età fertile secondo i quali invertire il trend di sovrappopolamento della Terra sia l’unico modo di sopravvivere.
Una provocazione con un fondamento scientifico
Questo approccio, lanciato dalla giornalista americana Lisa Hymas nel 2010 e successivamente adottato da movimenti come Demographie Responsable in Francia e l’inglese BirthStrike (letteralmente “sciopero delle nascite”),vanta già diversi testimonial eccellenti: dalla scrittrice tedesca Verana Brunschweiger, autrice del saggio Kinderfrei statt kinderlos. Ein Manifest (Libere dai figli anziché prive di figli. Un manifesto), alla cantante britannica Blythe Pepino. Da quando, lo scorso anno, la 30enne Pepino ha esternato su Facebook i suoi timori, BirthStrike ha raccolto migliaia di iscritti, in maggioranza giovani donne preoccupate di lasciare un mondo inospitale ai figli.
Posizione condivisa anche da Alexandra Ocasio-Cortez, giovane deputata statunitense, che su Instagram ha domandato ai suoi 3 milioni di followers: «È ancora giusto avere dei bambini con il Pianeta in queste condizioni? ». Per quanto estrema, la provocazione dei Gink ha un fondamento scientifico, almeno per quanto riguarda i Paesi occidentali. Secondo una ricerca dell’università di Phoenix, una famiglia europea o statunitense consuma il quadruplo delle risorse rispetto alle altre, per cui la riduzione dei consumi o la scelta di comportamenti più “green” non basteranno da soli a redistribuire risorse sempre minori. Mentre un recente studio dell’università svedese di Lund sostiene che sul lungo periodo solo la diminuzione degli abitanti della Terra potrà limitare le emissioni di Co2. Intanto, mentre i ricercatori dibattono, i Gink sono arrivati anche in Italia.
Non avere figli: una scelta meditata
«Ho un compagno, un buono stipendio, una casa grande: se volessimo un figlio potremmo farlo domani» racconta Cecilia Romei, 35 anni, office manager in una multinazionale a Milano, che fin da tempi dall’università ha deciso che non avrebbe messo al mondo dei bambini per salvaguardare l’ecosistema. «Quando i ragazzi di Greenpeace davanti al supermercato mi chiedono: “Tu cosa fai per il nostro Pianeta?”, io rispondo: “Non faccio figli”. Li lascio sempre un po’ interdetti perché è una cosa di cui si parla ancora poco, soprattutto in Italia. Penso invece sia un aspetto da prendere in considerazione al momento di metter su famiglia». Cecilia argomenta così la sua scelta personale: «Il consumo eccessivo delle risorse ambientali è un processo che va avanti da secoli, è vero, ma ora è più rapido e più difficile da invertire. Diminuire i consumi non sarà risolutivo se non diminuiranno anche gli abitanti» aggiunge lei, appena diventata zia di un bambino che «avrà 30 anni nel 2050. Quando le risorse sulla Terra saranno esaurite. Ho paura per lui».
La preoccupazione sulle condizioni del Pianeta che lasceremo alle generazioni future è alla base anche della riflessione di Andrea Drago, 26 anni, studente di Matematica a Roma. Dal 2019 fa parte del movimento internazionale Extinction Rebellion che chiede ai governi risposte concrete al climate change. «Ho sempre immaginato di diventare padre, anche se nessuna delle ragazze con cui sono stato voleva figli» racconta. «Ma di fronte a un mondo dove la temperatura è cresciuta di 4 gradi, le risorse diminuiscono e la gente è costretta a lasciare le sue case per gli effetti di tutto ciò, come in Australia, non me la sento di prendermi la responsabilità per chi non ha chiesto di nascere. Non è catastrofismo: se mi renderò conto che le cose stanno migliorando, potrei anche cambiare idea».
Una sfida che riguarda i continenti in crescita demografica
Sull’efficacia dello sciopero riproduttivo, però, gli addetti ai lavori sono divisi. «Se si tratta di una provocazione posso capirla, ma non è questa la soluzione» sostiene Antonello Pasini, fisico del clima al Cnr di Roma. «La vera sfida è cambiare i nostri comportamenti in modo che siano in armonia con le dinamiche naturali. Perché uomo e ambiente non sono 2 sistemi diversi e divisi, e devono evolvere assieme. Inoltre, se questi ragazzi hanno una coscienza ecologica, molto probabilmente l’avranno anche i loro figli, e le cose in futuro miglioreranno». Ma questo approccio non risolve il problema della sovrappopolazione, per cui è già quasi raddoppiato il numero ritenuto sostenibile (4,5 miliardi di abitanti) sulla Terra. «Obiettivamente è un problema» ribatte Pasini «ma lo è soprattutto perché molte persone vivono in maniera non sostenibile. La “bomba demografica” riguarda continenti come l’Africa, che nello sviluppo futuro dovranno evitare gli errori che abbiamo fatto noi».
Una denatalità con conseguenze negative
Anche se il movimento Gink ha “contagiato” l’Italia, il nostro Paese non ha certo un problema di sovrappopolazione: ci sono appena 440.000 nuovi arrivi l’anno. «Una natalità bassa come la nostra ha varie conseguenze negative, tra cui meno sostenibilità del sistema sociale, minori investimenti sulla formazione dei giovani e sulle soluzioni innovative per un uso più efficiente delle risorse del Pianeta» avvisa Alessandro Rosina, docente di Demografia all’università Cattolica di Milano. «Va rispettato chi non fa figli per scelta, ma il punto resta rimuovere le condizioni che portano chi vuole una famiglia a rinunciarci ».
Soluzioni? «Serve la capacità di affrontare in modo integrato la sfida delle quattro “i”: invecchiamento, immigrazione, innovazione tecnologica, impatto ambientale. È da questo che dipende la qualità della vita delle prossime generazioni. Salvare il Pianeta è compito di tutti, ma più giovani ci saranno a dar forza a tale cambiamento e meno si potrà essere pessimisti sul futuro dell’ecosistema».