Siamo abituate a sentir parlare di possibili correlazioni tra la terapia ormonale in menopausa e possibili rischi di tumori alle ovaie o all’utero. Ma, posto che le rassicurazioni su questo fronte sono molte alla luce dei nuovi farmaci a disposizione, ora emerge che che l’assunzione di estrogeni per contrastare i disturbi della menopausa non comporta maggiori rischi di demenza senile, ma anzi può proteggere da forme di deficit cognitivo e Alzheimer.

Ormoni e demenza: lo studio

A indagare su questi aspetti, infatti, è uno studio inglese, appena pubblicato sul British Medical Journal e condotto da un team di ricercatori delle Università di Nottingham, Oxford e Southampton su un campione di oltre 118mila donne di età pari o superiore a 55 anni. A tutte era stata diagnosticata una forma di demenza tra il 1998 e il 2020. Le loro cartelle cliniche sono state confrontate con quelle di un campione su cui invece non erano stati rilevati segni di declino cognitivo. In entrambi i gruppi, il 14% aveva assunto ormoni in menopausa per oltre tre anni. Le conclusioni sono state che la terapia non aveva aumentato le probabilità di demenza. Al contrario, nelle donne under 80 che avevano assunto estrogeni per almeno 10 anni si è riscontrata una riduzione del rischio di demenza.

Gli ormoni non fanno male al cervello

«È uno studio importante, perché sgombra il campo dagli equivoci che erano sorti qualche anno fa, quando si era temuto che gli ormoni in menopausa potessero nuocere al cervello. In realtà, se assunti al momento giusto e nei casi idonei, possono persino giovare» chiarisce Raffaella Nappi, professoressa di Ginecologia e Ostetricia all’università di Pavia – Policlinico San Matteo ed esperta di menopausa.

Come agiscono gli ormoni sul cervello

Il primo aspetto da chiarire è il nesso tra terapia ormonale e demenza senile. Come può l’assunzione di ormoni influire sul cervello? «È noto che gli estrogeni favoriscono il mantenimento dell’efficienza del cervello femminile. Nel momento in cui vengono meno, con la menopausa, possono comparire i primi sintomi di questa carenza, come conseguenza del fatto che diminuisce l’apporto di ossigeno, glucosio e altri elementi ai neuroni stessi che, anche visivamente, è come se si raggrinzissero. Per questo da anni sappiamo che la terapia ormonale può avere un effetto positivo sulla vitalità dei neuroni e sull’irrorazione del cervello proprio perché contribuisce a migliorare la circolazione sanguigna e la vitalità cerebrale. Ovviamente questo è vero e possibile solo ad alcune condizioni, prima tra tutte l’età in cui si inizia la terapia ormonale» spiega Nappi.

Terapia ormonale ai primi sintomi di menopausa

«Un cervello a cui vengano meno gli estrogeni è come un’auto a cui diminuisca la benzina. Integrandole con la terapia ormonale è possibile mantenerne il funzionamento, purché si intervenga per tempo. Il cervello è plastico, infatti, può recuperare, ma ciò deve avvenire al momento dell’inizio della menopausa, ai primi sintomi perché questi sono dei biomarcatori, cioè indicano l’inizio di un cambiamento» spiega l’esperta ginecologa. Le vampate di calore, infatti, sono spesso associate anche ad altri fenomeni, come la sensazione di annebbiamento del cervello o di stanchezza, sui quali è possibile agire nelle fasi iniziali. «Quando invece passa troppo tempo si può correre il rischio di non avere benefici, ma persino effetti negativi – spiega Nappi – In pratica, in una donna di 70 anni o oltre, la terapia ormonale non ha un effetto “retroattivo”, non può ridurre la demenza, ma potrebbe anche dare problemi, perché si va a rompere un equilibrio nel suo organismo, che si è creato con l’inizio della menopausa».

Possibile effetto protettivo contro l’Alzheimer

A confermare non solo la mancanza di nesso tra terapia ormonale e maggiori rischi di demenza, ma anzi i possibili benefici in termini preventivi è un altro studio recente, condotto dall’Università delle Scienze della Salute in Arizona, secondo cui le donne in terapia ormonale hanno fino al 58% in meno di probabilità di sviluppare malattie neuro-degenerative, tra le quali il morbo di Alzheimer. Secondo la ricerca, la riduzione del rischio dipende dal tipo di terapia, dalle modalità di somministrazione e dalla durata del trattamento. «Il motivo è legato ai diversi tipi di demenze e al momento dell’inizio della terapia» conferma l’esperta.

Non tutte le demenze sono uguali

«Un aspetto fondamentale è la natura della demenza, che può variare e che può influire sull’efficacia o meno dell’effetto protettivo di una terapia ormonale in menopausa. Va ricordato che i disturbi della demenza possono avere una base genetica oppure possono essere di natura vascolare, legati alla circolazione e all’apporto sanguigno al cervello, o depressiva, ecc. Le diverse conclusioni degli studi condotti negli anni possono derivare dal fatto di non aver considerato queste differenze» conclude la ginecologa: «Occorrerebbero studi ancora più mirati, a seconda del tipo di deficit. Per ora, però, è stato confermato che, se iniziata nei tempi giusti, quando il cervello e l’organismo hanno ancora una certa reattività e plasticità, le terapie ormonali non solo non fanno male, ma possono giovare, anche al cervello».