Quando scrivo metto a nudo una parte importante di me: quella curiosa, quella grintosa, quella impertinente.
Ma mettersi a nudo non è sempre facile. Intendo proprio in senso letterale: spogliarsi. Il corpo che abbiamo a volte non è esattamente quello che desideriamo. Io, per esempio, da qualche anno ho il problema della pancia. No, non parlo dei classici rotolini di ciccia (quelli ce li abbiamo tutti, chi più, chi meno). Con quelli ci ho fatto pace. Il mio cruccio è una brutta cicatrice, un “regalo” inaspettato dell’appendicite: dopo l’operazione è rimasto il segno. E non si può togliere a meno di non voler pensare a un tatuaggio coprente o alla chirurgia estetica. Ma io ho paura degli aghi…
Mio marito (che come molti uomini non nota neanche la cellulite o fa finta di non accorgersene) mi rimprovera perché a volte faccio fatica persino a mettermi in bikini. «Sei bellissima così, per me quella cicatrice è un bel ricordo» mi dice. In effetti ci siamo fidanzati durante la mia convalescenza in ospedale, nel 2004. Mi medicava lui la ferita, sosteneva che fosse artistica. Ne era affascinato (gli piacciono i film horror, si vede). Eppure, nonostante lui sia stato e continui a essere dolcissimo e premuroso, a me fa ancora un po’ male guardarmi nuda allo specchio. Sì, perché quel taglio di 7 centimetri che rovina il “quadro” non mi fa sentire a mio agio. Ancora oggi.
Fino a oggi.
Oggi ho guardato gli scatti di due giovani fotografi, Alessandro Viganò e Matteo Scarpellini di Alma Photos, che da alcune settimane portano in giro, in vari festival di fotografia, un progetto interessante: il Reality Project. Questi due ragazzi milanesi ritraggono donne e uomini comuni, come me, come mio marito, come noi, insomma. Tutti con una particolarità: sono nudi. Li fotografano a casa loro, in situazioni normalissime: mentre caricano la lavatrice, mentre stirano, mentre fanno il bagno, mentre scelgono un libro dagli scaffali in salotto. Non c’è nessun ammiccamento, nessuna voglia di mostrarsi “sexy” o “glamour” nei protagonisti. Il messaggio? Si è nudi, come si è. C’è qua e là un seno più grande di un altro: è normale, è naturale. C’è una smagliatura: è naturale, è normale. C’è una pancia rilassata dopo un parto: è, normale, è naturale. Non c’è ritocco in queste foto. Non c’è ricerca “artistica”. C’è solo la vita. Ed è bellissima.
Manca, forse, in questi scatti, una cicatrice da appendicectomia. Proprio come la mia. Non so se avrò mai il coraggio di farmi fotografare nuda. L’imbarazzo sarebbe forte. Di una cosa però sono certa: non voglio più vergognarmi di mettermi a nudo. L’ho già fatto raccontandomi di che cosa mi vergogno! E mi piacerebbe raccogliere le vostre storie di nudità. Di quella volta in cui avreste voluto avere un corpo diverso. Di come avete fatto ad accettarvi, nudi, senza “ritocchi” di coscienza. In coppia o da sole.
Stasera torno a casa dalla mia famiglia e so cosa rispondere alla mia bambina dopo tanto tempo, troppo tempo. Quando mi vedrà nuda mentre io indosso la camicia da notte e lei si lava i dentini prima della nanna, mi chiederà (come al solito): «Mamma, cos’è quella?».
Stasera mi metterò a nudo anche con lei e le risponderò: «Si chiama cicatrice ed è quella cosa che ci ha fatto innamorare, a me e al tuo papà».