C’è una cosa che mi fa più paura di questo presente in cui la conta dei morti è ancora troppo alta, mentre la nostra motivazione si sfilaccia dentro stanze troppo vissute, su cui batte un sole troppo caldo. È l’immediato futuro. La fase 2. Quella in cui pensavamo che saremmo entrati subito dopo Pasqua, ma che invece sembra allontanarsi di qualche settimana. Provo una forma di codardo sollievo in questo rinvio, perché rimanda le paure con cui prima o poi dovrò fare i conti.
La paura di rivedere dopo mesi mia madre, mio padre, le mie nipotine, i miei amici e di dover frenare l’istinto di un abbraccio.
La paura che la mascherina inghiottisca ogni emozione, ogni pensiero, ogni sentimento. Che ci renda più difficile comunicare di quanto già non lo stia facendo lo schermo di un computer. La paura che, mentre ci ubriachiamo della ritrovata libertà, per una stupida leggerezza contagiamo qualcuno, costretto per causa nostra a un calvario privo dell’amara consolazione di far parte di un dramma planetario. Qualcuno che non farà più notizia in un Paese che bramerà il ritorno alla normalità.
La paura di dimenticarmi che R. è morto: non l’ho visto ammalato, non l’ho pianto al suo funerale, mi conosco, lo so che per me non è veramente morto. Alla vita che verrà, però, tocca prepararci. Così, per prima cosa abbiamo comprato l’accessorio feticcio che ne sarà protagonista: delle mascherine vere, non gli scaldacollo che fino a oggi abbiamo portato sul viso come rapinatori, ma quattro mascherine di tessuto, coloratissime e alla moda. Saranno le nostre compagne di viaggio per i prossimi mesi.
Come seconda cosa, abbiamo appeso anche noi una “cesta sospesa” alla ringhiera di casa. E abbiamo iniziato a far la spesa per noi e per un’altra famiglia. Non ne abbiamo in mente una in particolare, non abbiamo mai sorpreso nessuno a servirsi di ciò che lasciamo nella cesta. Ciascuno di noi la immagina come preferisce, in base all’umore della giornata. Decide se sono due anziani soli o una combriccola rumorosa e piena di bambini. Se hanno bisogno di legumi o di cioccolata, di biscotti o di pasta.
L’altruismo deve diventare la nostra normalità, non uno sporadico gesto compiuto sull’onda dell’emozione. La Famiglia Immaginaria ogni giorno prende la spesa che facciamo, commenta le nostre scelte e ci abbraccia. Ché tanto, lì dove tutto succede, possiamo ancora abbracciarci.