È di questi ultimi giorni, e arriva da Roccagorga, piccolo comune in provincia di Latina, l’ennesima storia di violenza e di dolore a danno degli anziani. Ed è una storia terribile, e di fortissima attualità perché, con l’avvicinarsi dell’estate, saranno molte le famiglie italiane costrette a ricorrere a strutture specializzate, o ad aiuti domiciliari, che sono il vero futuro dell’assistenza.
Un’anziana degente, già naufragata in quell’immenso nulla pieno di dolore che è l’Alzheimer, veniva costretta a letto da una vera e propria gabbia: la scena, mostrata in tutta la sua brutalità dai video girati dalle Forze dell’ordine, è spaventosa, e ci fa tornare indietro di secoli quando, nei manicomi, i malati di mente venivano letteralmente torturati. La povera donna, urlante, si contorceva tra le lenzuola, mentre le sbarre anguste della sua prigione le impedivano persino di sollevare il busto.
È ben noto che chi fa determinati tipi di lavoro, come appunto l’assistenza ai malati, è esposto a condizionamenti psicologici che possono indurre comportamenti violenti, ma questo non deve certo spingergi a grossolane forme di giustificazione: le case di riposo – come le cliniche, ma anche gli asili, scenario sempre più frequente di incredibili maltrattamenti – devono garantire ai propri ospiti una vigilanza accuratissima sull’operato del proprio personale. E anche le famiglie sono chiamate ad essere più presenti, a non dare mai nulla per scontato.
Non si vuole certo alimentare una cultura del sospetto: ma una cultura della prudenza e della partecipazione attiva. Anche a distanza, i familiari dei malati restano caregivers, o «curacari», per usare un fortunato neologismo nato proprio in questa rubrica e dedicato ai silenziosi eroi di quell’esercito dell’amore fatto di figli, mogli, sorelle e fratelli, nipoti e coniugi, che si occupano di un familiare colpito dall’Alzheimer.
Quando affidiamo un genitore o un nonno a una casa di risposo, non dobbiamo pensare di esserci liberati di una responsabilità, ma di esserci dotati di un supporto che, attraverso l’opera di specialisti, ci consentirà di amare ancora meglio, ancora di più, una persona il cui destino ormai, nel bene e nel male, siamo proprio noi.
Infine, permettetemi una nota personale.
Mai soli si ferma qui, a tre anni esatti dal suo esordio. Desidero ringraziare di cuore le innumerevoli persone che ci hanno seguiti e che mi hanno scritto, spesso confidandomi le loro più profonde emozioni.
Un grazie a Monica Triglia e alla direttrice di Donna Moderna, Annalisa Monfreda, senza la cui sensibilità questa rubrica non sarebbe mai nata. E grazie a due eccezionali compagni di viaggio: il professor Marco Trabucchi, presidente dell’AIP e autentico nume tutelare dei malati di Alzheimer in Italia, sia sul piano della ricerca che della difesa dei loro diritti; e al giornalista Michele Farina, eroe quotidiano di questa grande battaglia e inventore dell’Alzheimer Fest: un evento geniale che quest’anno si terrà a Levico, dal 14 al 16 settembre.
Il grazie più grande, però, lo rivolgo a mia madre, per tutti Sara, che il primo dicembre scorso ci ha lasciato, e che ha ispirato molte delle storie qui raccontate.
Ma questo non è un addio. Gli addii sono per le persone prive di dubbi: noi invece i dubbi un po’ li amiamo… Meglio mille arrivederci, che un addio: a Levico, magari.
Guarda lo speciale – Mai soli – Alzheimer: le nostre storie
Questo è il libro di Flavio Pagano, “Infinito Presente. Una storia vera di amore, Alzheimer e felicità” (Sperling & Kupfer). Lo trovi anche online: clicca qui.