I cosiddetti millennials, cioè i ragazzi e le ragazze che sono diventati maggiorenni nel nuovo millennio (dal 2000 in poi) secondo l’Istat hanno superato numericamente la generazione X (quella dei nati tra il 1965 e il 1980). In Italia sono una tribù di 11,2 milioni di persone, nel mondo circa 2,3 miliardi. Molto globali e sempre connessi, la loro è la generazione più coccolata e studiata per cerca di intercettarne abitudini e interessi.
E deve anche fare i conti con un’etichetta scomoda comparsa qualche anno fa sul settimanale Time, che li definì “pigri, superficiali e narcisisti” o generazione “Me, me, me” (Io, io, io), egocentrici e vanitosi. È davvero così? Lo abbiamo chiesto ad Alessandro Rosina, ordinario di demografia all’Università Cattolica e coordinatore dell’Osservatorio permanente sui giovani dell’Istituto Toniolo.
Amano il cambiamento
«I millennials fanno parte della generazione delle tre C: Connected (cioè connessi in Rete e a tutto il mondo); Confident (hanno grande fiducia in se stessi, vogliono emergere e avere visibilità); open to Change (aperti al cambiamento). Non solo perché mediamente sono ragazzi curiosi e flessibili, ma anche perché provano strade diverse e trovano soluzioni soprendenti a un problema» spiega Alessandro Rosina. Lo dimostra il numero di start up innovative create dai giovanissimi: più di 5.000, stando al Registro delle imprese.
E, allora, perché continuiamo a considerarli pigri e narcisisti? «Perché è sempre difficile, per le generazioni precedenti, fare i conti con sfide, opportunità e rischi diversi da quelli che ha vissuto» spiega Alessandro Rosina. «Dipende anche dalle chiavi di lettura di chi li giudica, che non sono sempre aggiornate. Specie con i millennials, che sono cresciuti in scenari politici, condizioni economiche e sociali lontani da quelli validi fino alla fine del Novecento» continua l’esperto.
Sposano la filosofia “sharing”
Anche le ricerche del Censis, però, bollano i millennials come individualisti. Non è forse questa la molla che li spinge a investire tanto sulla formazione? «No, le nostre indagini mostrano che, pur avendo una forte autostima e determinazione alla realizzazione personale, questi ragazzi fanno della condivisione uno dei pilastri in cui credono» continua l’esperto. «Per loro è naturale mettere in comune pensieri, progetti, passioni, ma anche utilizzare gli spazi coworking, o le formule di sharing economy studiate per viaggiare a costi contenuti.
I millennials, del resto, sono dei viaggiatori nati. Per un trentenne i confini geografici non esistono più: contano le reti, cioè le comunità con cui (anche a migliaia di chilometri di distanza) condividere esperienze». E, complice la difficoltà a trovare un lavoro nel nostro Paese, sono preparati all’idea di studiare o lavorare all’estero. «Oggi spostarsi è più facile e ci sono addirittura alcuni trentenni che lavorano in un Paese e hanno la fidanzata in Italia» continua l’esperto.
Non conoscono le gerarchie
La grande stima che hanno di loro stessi e la voglia di emergere fanno pensare a una generazione di ragazzi un po’ cinici e in forte competizione l’uno con l’altro. «Non è proprio così. La precarietà con cui hanno imparato presto a fare i conti ha stimolato una grande propensione al lavoro di squadra» continua Alessandro Rosina. «I millennials preferiscono, però, coltivare rapporti di studio e lavoro in modo orizzontale. E fanno fatica a riconoscere le regole e la gerarchia. Per esempio, tendono a dare del “tu” a tutti. Inoltre, non hanno la propensione al sacrificio né lo spirito di servizio delle vecchie generazioni: si spendono solo quando sono convinti di ottenere dei risultati». E, se non si sentono apprezzati o l’obiettivo è più faticoso del previsto, tendono a mollare.
L’ambizione è soprattutto femminile
Mediamente le ragazze sono molto determinate più dei loro coetanei maschi e hanno grandi aspettative di realizzazione personale, sia nel lavoro sia nel privato» spiega Alessandro Rosina. «Dimostrano anche maggiore intraprendenza e disponibilità al cambiamento dei ragazzi e raggiungono livelli di formazione e preparazione molto alti. Purtroppo però fanno più fatica a essere incluse nel mercato del lavoro». Per un’inversione di tendenza si dovrà attendere la generazione Z, quella cioè che comprende i ragazzi dai 15 ai 18 anni.