Nel 1946, alle elezioni del 2 giugno, le donne italiane esercitarono per la prima volta il diritto di voto, entrando così nella vita pubblica. Quello stesso anno, per una di quelle coincidenze che forse non sono mai solo coincidenze, a settembre si svolgeva a Stresa la prima edizione di Miss Italia, celebrazione della bellezza femminile ma anche inno all’ottimismo post bellico. E volano della carriera di tantissime concorrenti. Lucia Bosè, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, pur non conquistando la fascia, sono diventate star mondiali, arrivando perfino a Hollywood. E fino ai primi anni 2000 molte altre Miss hanno intrapreso con successo la strada della recitazione: da Anna Valle a Francesca Chillemi, fino a Miriam Leone, che appena un paio di settimane fa ha ricordato sul palco di Sanremo la vittoria da cui è partito tutto. Ma Miss Italia ha ancora senso oggi o deve morire?

Miss Italia deve morire? Il docu-film targato Netflix

Il concorso ha superato indenne, o quasi, anche le critiche dei movimenti femministi sui canoni di bellezza stereotipati e l’oggettificazione del corpo delle donne, se si pensa che per tutti gli anni ’90 lo share della diretta su Rai 1 era lo stesso del seguitissimo Festival della canzone. Poi qualcosa deve essere cambiato, come emerge dal docufilm Miss Italia non deve morire, ora su Netflix. Dal 2013 la finale non è più trasmessa dalla Rai e, dopo il passaggio su La7, adesso si può vedere solo in streaming sui canali dell’organizzazione.

Nel doc, che ci porta dietro le quinte dell’incoronazione della reginetta del 2023 Francesca Bergesio, vediamo Patrizia Mirigliani – dal 2010 organizzatrice del concorso dopo la morte del padre Enzo, storico patron della kermesse – esortare i suoi ostinati agenti regionali a cambiare i criteri di selezione perché non è più tempo di contare i centimetri del girovita. Mentre una delle aspiranti miss, Aurora, studentessa laziale, si infervora contro la “vecchia” bellezza canonica. «Non dimentichiamo che nel Dopoguerra le ragazze partecipavano al concorso per poi lavorare nel mondo dello spettacolo. Avere una propria carriera, essere indipendenti. Credo che mio padre sia stato un grande femminista: aveva capito che la bellezza può essere uno strumento di emancipazione» sottolinea Patrizia Mirigliani, che vorrebbe riportare la finale in tv.

Aurora in una scena di Miss Italia deve morire?

Il titolo di Miss è ancora un’aspirazione?

Ma nel 2025 la corona di Miss Italia è ancora il sogno delle ragazze? I numeri dicono che le aspiranti alla fascia restano circa 10.000 ogni anno, di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Del fatto, però, che il concorso sia oggi considerato un trampolino di lancio dubita Alice Avallone, antropologa digitale, trend forecaster e insegnante di Data Humanism alla Scuola Holden. Un po’ per via dell’entrata in scena dei social, che danno visibilità immediata. Un po’ perché le nuove generazioni stanno affermando un nuovo paradigma.

«La Gen Z ha un rapporto complicato con le vecchie logiche della performance. Se per anni il successo è stato sinonimo di competizione e ambizione, i giovani di oggi sono molto più interessati a vivere bene che a vincere a tutti i costi. L’idea di essere valutati soltanto per l’aspetto fisico suona datata, poco autentica, troppo costruita. Preferiscono modelli più spontanei e imperfetti, come quelli che nascono online, dove chiunque può costruire la propria immagine senza un giudice o una corona a decretarne il valore».

Tra bellezza e empowerment

Forse anche per questo motivo lo scorso dicembre Miss Olanda ha annunciato che non avrebbe più assegnato la corona. Al suo posto una piattaforma di mentoring dedicata al supporto psicologico delle ragazze, No longer of this time (non è più tempo per questo): uno spazio in cui discutere di temi come i disturbi alimentari, il rapporto con i social media, l’espressione di sé. Istanze che vanno di pari passo con il movimento della body positivity che, affermando il valore intrinseco di ogni corpo, ha preso a picconate l’idea stessa dei canoni estetici.

E dunque, oggi, hanno ancora senso i concorsi di bellezza? Sì, ovviamente, per Patrizia Mirigliani, che si dice d’accordo sul fatto che l’avvenenza da sola non basti, ma sottolinea anche che l’empowerment femminile sia stato sempre nel Dna di Miss Italia. Ricorda quando nel 1990 furono abolite le misure; la storia di Pina Siracusa, la prima Miss Coraggio, premiata nel 1991 per aver denunciato i 15 uomini che l’avevano violentata; la vittoria discussa di Denny Méndez, la prima Miss di origine non italiana nel 1996; il terzo posto nel 2021 di Chiara Bordi, attrice con disabilità. E aggiunge: «Questa società è contraddittoria e ipocrita: a Sanremo conta la voce, ma ti giudicano se non sei carina; sei una professionista, ma sottolineano se vai al lavoro con i capelli sporchi. E noi dovremmo vergognarci di parlare di bellezza?».

Miss Italia può ancora vivere?

Vergognarci no, ma ricordare come il concetto di bello sia mutato sì. «Oggi è molto più di un viso armonioso o di un corpo perfetto» osserva Alice Avallone. «È carisma, personalità, autenticità. E il modo in cui ti racconti, l’energia che trasmetti. Non esiste più un solo canone, ma un’infinità di modi di essere belli, e questo sta cambiando tutto, anche i concorsi di bellezza. Non bastano più una passerella e un bel sorriso per conquistare il pubblico. Serve un’idea, una storia, una voce che lasci il segno». Miss Italia deve morire, quindi? Secondo l’antropologa, «ogni epoca ha bisogno di misurarsi con dei canoni, ma per il futuro i concorsi dovranno cambiare pelle: diventare più inclusivi, raccontare la bellezza come qualcosa di personale e potente. Meno gara, più espressione. Meno standard, più storie. Solo così potranno trovare un posto in un mondo dove la bellezza non si misura, si vive».