L’omicidio di Willy Fonteiro Duarte, 21enne di Paliano ucciso nella notte tra sabato e lunedì scorsi a Colleferro, fa discutere per molti motivi. Per la brutalità del pestaggio e per la giovane età della vittima, innanzitutto, da tutti descritto come un ragazzo pacifico e volenteroso, con un futuro da chef davanti e una grande passione per il calcio. Al momento sono in stato di fermo i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, i quali, stando alle ultime notizie riportate da La Repubblica, avrebbero negato il coinvolgimento nell’omicidio.
In questi giorni, in molti sui giornali e sui social si sono concentrati sull’attività sportiva praticata dai quattro indagati, che sui loro profili condividevano spesso foto di allenamenti, e in particolare sotto accusa sono finite le cosiddette MMA, Mixed Martial Arts (arti marziali miste), una forma di combattimento che unisce discipline diverse tra loro e che è considerata particolarmente cruenta. Ma da dove viene questo sport? Proviamo a raccontartelo qui.
Che sono e da dove vengono le MMA, le arti marziali miste
Con arti marziali miste (in inglese Mixed Martial Arts, da cui MMA) si indica uno sport da combattimento a contatto pieno il cui regolamento consente l’utilizzo di tutte le tecniche sportive delle arti marziali (come il muay Thai o il judo) e degli sport di combattimento (come la lotta libera, il grappling, il pugilato o la kick boxing). Il movimento che ha portato alla creazione delle attuali MMA, le cui origini possono essere rintracciate già nel pancrazio greco, nasce negli anni Settanta in Brasile negli eventi di “vale tudo” – un tipo di combattimento a mani nude e a contatto pieno diffusosi come forma di torneo interstile dalla regolamentazione minima – e in Giappone negli spettacoli di shoot wrestling. Il vale tudo nasce come evoluzione del judo e, nella prima fase della sua esistenza, era caratterizzato da sfide che a causa dell’eccessiva violenza finirono ben presto per essere relegate nelle palestre di arti marziali, soprattutto a Rio de Janeiro, dove ci fu un’accesa rivalità tra i rappresentanti del Gracie jiu-jitsu e della luta livre brasiliana, una lotta simile al catch wrestling.
Come si legge sul sito della Federazione Italiana Grappling Mixed Martials Arts (FIGMMA), che gestisce le MMA su delega della Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali del CONI, in Giappone negli anni ‘70 furono organizzati diversi incontri di MMA dal wrestler professionista Antonio Inoki, allievo del famoso lottatore di catch wrestling Karl Gotch, che diede origine allo stile “shoot” nel wrestling professionistico giapponese e portò alla fondazione nel 1985 della organizzazione di MMA chiamata Shooto. Lo stesso Inoki nel 1976 iniziò a sfidare i campioni di altri sport di combattimento, affrontando e sconfiggendo il campione olimpico di Judo e il campione del mondo dei pesi massimi di Karate e pareggiando con il campione del mondo di boxe dei pesi massimi Cassius Clay. Le MMA devono poi molto del loro successo a Bruce Lee, che ne era un praticante convinto. Negli ultimi anni le MMA hanno raggiunto un’incredibile popolarità negli Stati Uniti, dove gli eventi sono seguiti quanto quelli del pugilato. I primi atleti italiani che hanno combattuto nelle MMA sono stati Michele Verginelli, Christian Scarci, Alessio Sakara e Filippo Stabile. Nel 2017, in un’intervista proprio qui su Donna Moderna, il presidente della FIGMMA Saverio Longo contava «181 società sportive affiliate, distribuite su tutto il territorio nazionale, e 4000 tesserati».
Le MMA sono uno sport troppo violento?
Già nel 2017, Longo spiegava a Donna Moderna che «Le MMA sono l’insieme di diversi sport da combattimento. Se le MMA fossero giudicate violente, sarebbero da giudicare violente anche le singole discipline che le compongono. Dico invece che sono uno sport molto utile dal punto di vista sociale perché le MMA permettono di indirizzare in un’attività lecita e sana la naturale esuberanza fisica ed emotiva di tanti giovani». Un concetto che Longo ha ribadito anche in un lungo post sulla pagina Facebook della FIGMMA dopo l’omicidio di Willy Duarte: «Ogni volta che vedo accostare gli sport di combattimento/arti marziali a un fatto di violenza criminale provo un profondo disagio. Purtroppo, chi non conosce i nostri sport, non può sapere quali nobili valori trasmettono, non può sapere che nella comunità degli atleti degli sport di combattimento/arti marziali, forse anche più che nella società civile, chiunque sfrutti le sue capacità fisiche e le sue tecniche marziali per far del male a una persona più debole viene considerato un grande vigliacco e un gran farabutto».
Alla base di questa disciplina, come succede per tutti gli sport ma in particolare per le arti marziali, c’è infatti l’autodisciplina e il senso del controllo del proprio corpo, sia dentro che fuori dal ring. Quello che è successo a Colleferro è gravissimo e dev’essere l’occasione di farci riflettere sul fallimento di una comunità, come ha dichiarato il giovane sindaco della cittadina, Pierluigi Sanna, a Fanpage: «Quanto accaduto lo scorso sabato rappresenta una sconfitta che mi duole affermare, che mi duole accettare. Io ho lavorato molto sulle questioni culturali, ricevendo anche derisioni. L’ho fatto perché credevo che la mia generazione, i miei coetanei, perché di coetanei si tratta sia per quanto riguarda la vittima e gli assassini – dovesse ritrovare un bagaglio culturale, una profondità spirituale, amore per la conoscenza che mai potrebbero essere accompagnate con la violenza, con la ferocia e con la sete di sangue».