La mononucleosi è chiamata malattia “del bacio” perché il contagio avviene soprattutto attraverso la saliva di chi ha già la malattia ma non lo sa. È una malattia infettiva causata da un virus chiamato di Epstein-Barr. Con caratteristiche particolari. Quando lo contraggono i bambini piccoli, e succede in circa la metà dei casi nella fascia d’età fino ai 5 anni, non causa sintomi, tanto che la malattia passa inosservata. Il discorso cambia quando colpisce adolescenti e giovani adulti: i casi si concentrano tra i 15 e i 30 anni e nella metà dei casi provoca sintomi anche intensi. «Non è un’infezione pericolosa per la salute», spiega Tiziana Lazzarotto, professore di microbiologia dell’università di Bologna e membro del Direttivo Amcli (Associaizione microbiologi clinici italiani). «E non ci sono cure specifiche. Esistono però delle raccomandazioni, che possono favorire la guarigione».
I sintomi della mononucleosi
Il segnale principale è la stanchezza, esagerata e sproporzionata alle proprie attività. E il gonfiore alle ghiandole del collo. «L’ingrossamento dei linfonodi può essere anche esagerato», spiega Tiziana Lazzarotto. «Crea così uno stato di infiammazione importante che gonfia la mucosa oro-faringea e provoca mal di gola molto dolorose, e aumento del volume delle tonsille, tanto da confondere e far pensare a una tonsillite». E non ci sono di solito particolari ragioni che ne aumentano la predisposizione ad ammalarsi. È solo molto infettiva e questo fa sì che l’infezione si concentri in particolare nella fascia d’età con la maggiore propensione ai flirt. «Certo, esistono anche le eccezioni», aggiunge la professoressa Lazzarotto. «E’ il caso ad esempio di persone il cui sistema immunitario non risponde adeguatamente perché compromesso dall’uso di farmaci biologici, come nel caso delle malattie autoimmuni. Questi medicinali possono alterare la risposta del sistema immunitario e favorire la progressione dell’infezione verso la malattia». I laboratori di Microbiologia sono in grado di eseguire una diagnosi certa mediante l’esecuzione di test specifici in un prelievo di sangue. L’esame microbiologico consiste nella ricerca di anticorpi virus-specifici.
Cosa si può fare per curare la mononucleosi
In caso di mononucleosi devi dare il tempo al sistema immunitario di “smaltire” il virus e di riprendersi dalla malattia. La terapia principale quindi è il riposo, soprattutto nelle prime due settimane. Evita invece i farmaci, a meno che non sia il medico a prescriverli. «Con la mononucleosi la febbre può arrivare anche oltre i 38», sottolinea l’esperta. «In tal caso va abbassata con un farmaco a base di paracetamolo. Se c’è dolore alla gola invece va bene l’antinfiammatorio che aiuta a “spegnere” lo stato di infiammazione. Vanno evitati invece gli antibiotici, perché non servono. Questo vale anche se sono coinvolte le tonsille, perché la tonsillite, se così vogliamo chiamarla, non è provocata da un’infezione batterica». Segui anche un’alimentazione equilibrata, ricca di frutta, verdura e cereali integrali: contengono sali minerali e vitamine che ti aiutano a ritrovare le energie. Attenta invece all’igiene: non condividere posate, spazzolini, bicchieri e in generale tutto ciò che potrebbe far sì che il virus si trasmetti attraverso la saliva.
Probiotici ed echinacea
Segui anche un ciclo di cura con i probiotici. Contengono potenti microrganismi che difendono l’organismo. La dose? Come ha definito il ministero della salute nelle nuove linee guida, occorre assumere almeno un miliardo di batteri vivi al giorno. Vale a dire, uno o due flaconcini, a seconda di quanto scritto in etichetta. E tutte le mattine assumi 30 gocce di estratto di echinacea purpurea in poca acqua: stimola nell’organismo la produzione di una proteina che protegge le cellule del sistema immunitario. Ma attenzione all’avviso dell’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali. Questa pianta non va data ai bambini sotto i 12 anni e durante la gravidanza e l’allattamento. Infine, non fare attività fisica per almeno un mese, anche se cominci a sentirti in forza. Il movimento stimola l’attività delle cellule chiamate Nk, fondamentali perché sono le sentinelle più agguerrite dell’organismo. Ma nel momento delicato della convalescenza possono scatenare uno stato di stress che può rallentare i tempi di guarigione.