«C’è una piaga che sta dilagando nelle nostre città. Una piaga che impoverisce le persone. È la piaga delle slot machine». Sembra il trailer del film poliziesco degli anni Settanta La città gioca d’azzardo. Invece queste parole sono più che mai attuali: aprono il cliccatissimo spot dei sindaci contro il gioco d’azzardo, promosso nelle scorse settimane dal programma tv Le Iene. In 46 secondi, Flavio Tosi, Federico Pizzarotti, Piero Fassino, Leoluca Orlando, Michele Emiliano, Luigi de Magistris e Giuliano Pisapia lanciano un segnale chiaro: «Basta con le slot, riprendiamoci le nostre città».

Sì, perché il fenomeno ormai sembra inarrestabile: se nel 2001 gli italiani avevano dilapidato 19 miliardi e mezzo di euro, nel 2012 la cifra è arrivata a 84 miliardi. Lo Stato è in una situazione schizofrenica. Da un lato si vede costretto a lanciare l’allarme, dall’altro continua a incassare somme notevoli da questo settore. Questo paradosso, già oggetto di numerose class action negli Usa, ad aprile ha portato un 31enne giocatore d’azzardo di Roma a presentare tramite il Codacons una richiesta di risarcimento danni di 10 milioni di euro. Ma le associazioni dei consumatori scommettono che sarà il primo di una lunga serie di persone pronte a fare causa allo Stato.

Quante sono le sale da videolottery? In Italia esistono 420.000 apparecchi da gioco con vincita in denaro. «Di questi, 380.000 sono le macchinette che vediamo nei bar, le cosiddette “new slot”» spiega Fabio Schiavolin, membro della giunta di Confindustria Sistema Gioco Italia. Ma ovunque, ed è il fenomeno più nuovo e preoccupante, si moltiplicano le sale da gioco con slot e videolottery: 4.000 da Nord a Sud e il numero cresce, sia in centro sia in periferia.

Entro in una di queste a Milano, in zona Corvetto, quartiere multietnico a Sud-Est. All’interno mi sento in trappola. Inutile cercare una finestra: è tutto blindato. «Però puoi accenderti una sigaretta. E se alzi la mano, ti porto quello che vuoi da bere. Con un euro ti fai pure un panino» mi dice il gestore. Come se il problema fosse fumare o mangiare e non quel senso di oppressione che, in una stanza piena di telecamere e con le vetrate oscurate, mi prende già alle 10 del mattino. Mentre fuori la città si muove, qui tutto è fermo, tranne le dita dei giocatori sui rulli delle slot. Il buio innaturale è tagliato da abbaglianti luci al neon, con decine di macchinette che a intermittenza saturano l’ambiente di colori. Si chiamano Il Pirata, Il Ladro, La Sfinge, Lupin: sono giochi dai nomi esotici, ma in realtà tutti uguali. «Devi solo far coincidere l’immagine di un limone, di una fragola o di una mela con altri due limoni, fragole o mele» mi spiega Giovanni, che infila una banconota da 100 euro e comincia a puntare.

Chi le frequenta? Accanto a Giovanni c’è Mario. Tutti e due hanno circa 40 anni e giocano forte, molto forte. «In media punto 200 euro al giorno» confida il primo, mentre l’altro si è già perso in un mondo tutto suo. Mario è uno di quegli italiani che frequentano le sale gioco o si intrattengono con una macchinetta tra le 5 e le 7 volte alla settimana: il 60% dei giocatori, secondo i dati dell’università Cattolica. Di mestiere fa il muratore. «Finché il settore edilizio non riparte sono a casa» racconta. «Speravo nell’Expo, ma i cantieri sono fermi. Vedi le mani? Mi sono anche spariti i calli a furia di non lavorare». Ha una famiglia a cui mente, raccontando che esce a cercare «lavoretti per arrotondare». E i figli, la moglie? «Non sanno nulla». La crisi copre tutto, anche queste bugie. Quando gli chiedo dove prenda i soldi, Mario dice che «li ricava dalle vincite e poi li rigioca sulle irregolari». Le “irregolari” sono le macchinette sul retro, nascoste al controllo fiscale. Quelle in cui «punti di più, ma vinci di più». Mario ne è convinto. Sia lui sia io sappiamo che non è così. A un certo punto confessa: «Sono indebitato fino al collo. Ho impegnato persino la casa». Per ora il suo sistema di menzogne regge, grazie al fido bancario aperto dalla moglie per il suo negozio di profumi. Ma gli estratti conto, le telefonate, i richiami della banca passano da lui. E finché lui è il perno, «nessuno se ne accorgerà» dice. Anche senza un fido, non è difficile farsi prestare soldi dalle finanziarie o dai compro oro.

«Io mi sono venduta la dentiera di mia sorella. E per un paio di giorni ci ho giocato» racconta Marta, pensionata. «Ti fanno credito anche qui dentro. Tanto sanno che torni. Tornano tutti». Marta beve un bicchiere di vino bianco e, in 10 minuti, perde 300 euro.

È facile aprirne una? Né Giovanni, né Mario, né Marta hanno un orologio al polso e neanche dentro la sala ce ne sono. La percezione del tempo è azzerata, come quella dello spazio. «D’inverno qui fa caldo e d’estate c’è un’aria condizionata meravigliosa» dice il gestore. L’ambiente è costruito ad arte per ipnotizzare. E tra gli habitué ci sono anche i giovanissimi, come Luca, uno studente che trascorre alle slot le sue mattinate quando a scuola ha le interrogazioni. «Incassiamo tra i 4.000 e gli 8.000 euro al giorno» si lascia scappare la ragazza che mi porta da bere. E il proprietario mi spiega come è entrato nel business: «Aprire una sala giochi non è difficile. Ottenuto il contratto con la ditta che dà in comodato d’uso gli apparecchi, basta presentare la richiesta alla Questura. L’ufficio ti chiede il certificato penale e antimafia, ti manda un controllo di routine sull’agibilità dei locali. Nel giro di qualche settimana, se è tutto ok, inizi». Ed è un affare. In Piazza Diaz, a Milano, mi rivela un concessionario che vuole rimanere anonimo, c’è un gestore che in 24 ore fattura quanto la sala slot del Casinò di Campione d’Italia!

Qualcuno vuole farle chiudere? Il gioco d’azzardo, in queste sale, non ha nulla della socialità dei vecchi circoli. Qualcuno resiste, proprio in zona Corvetto. Per esempio la bocciofila Cavallino: non ci trovi né soldi né slot, solo carte e biliardo. E persone dai volti più distesi che, tra una partita e l’altra, discutono di calcio o del tempo. Proprio qui parlo con Simone Feder, lo psicologo che ha fondato il Movimento No Slot: «Troppe famiglie sono disperate perché un figlio, un padre o una madre si rovinano con le macchinette. La gente deve dire basta».

Tra chi si ribella, oltre ai sindaci e al movimento di Feder, ci sono anche abitanti e negozianti. Come Rosangela Bistolfi, a capo dell’Associazione commercianti (Asco) di Piazza de Angeli a Milano. Una donna battagliera, che ha scovato un cavillo in un regolamento condominiale ed è riuscita a impedire l’apertura di una sala gioco in una zona nevralgica del quartiere, accanto a scuole e biblioteca. «Dobbiamo riprenderci le nostre città. Con tutti i mezzi possibili» dice indignata. Davanti alla continua presa di posizione dei cittadini e alla discesa in campo dei sindaci, qualcosa sta cambiando. Progetti di legge regionale sono stati presentati in Lombardia, Emilia Romagna, Veneto e persino in Parlamento, dove è in discussione proprio in questi giorni una proposta per vietare la pubblicità del gioco in tv e mettere un freno alla sua diffusione. Finalmente, qualcosa si muove.

L’IDENTIKIT DEL GIOCATORE

 Chi è  Ogni italiano spende in media 1.703 euro all’anno per il gioco d’azzardo. Secondo

Chi è  Ogni italiano spende in media 1.703 euro all’anno per il gioco d’azzardo. Secondo l’università Cattolica di Brescia, il 50% di chi si rovina con il lotto, il poker, le slot machine è disoccupato, il 47% lavoratore saltuario o part time, il 34% impiegato, il 27% libero professionista, il 25% casalinga, il 17% studente (stessa percentuale dei pensionati).
Perché lo fa «All’inizio chiunque vuole solo provare, ma presto si trova ipnotizzato dal gioco, l’unico mondo che gli dà la speranza di potersi arricchire, ma anche di riscoprire la propria autorità» spiega David Le Breton, antropologo dell’università di Strasburgo, da anni impegnato nello studio del fenomeno. «Il giocatore attraverso l’azzardo tenta di riscattarsi e recuperare il controllo che gli sfugge in altri campi, come il lavoro o gli affetti. Si convince di poter dominare il rischio. Il gioco lo attrae, dandogli questa illusione, ma poi lo rinchiude in una gabbia più grande».
Come riconoscerlo 1 giocatore su 3 è affetto da ludopatia, un comportamento compulsivo che costringe a ripetere le puntate su slot e macchinette, senza controllo. Una dipendenza paragonabile a quella dalle droghe o dagli alcolici. «I familiari devono far suonare il campanello d’allarme se il giocatore ha il ciclo sonno-veglia alterato (dorme di giorno, è sveglio di notte), se si mostra distaccato dalla realtà o se diventa aggressivo quando si parla di perdite o vincite» avverte Simone Feder, psicologo del centro di ascolto Casa del giovane di Pavia e fondatore del Movimento No Slot. «Altri sintomi sono le assenze dal lavoro, la disaffezione agli studi, le pressanti richieste di soldi con le scuse più varie».
In che modo aiutarlo  «La prima cosa è contenere i danni, controllando gli estratti conto e bloccando bancomat e carte di credito» dice Feder. Se si sospetta una dipendenza, meglio rivolgersi a uno dei gruppi di auto-aiuto sul territorio: alcuni nelle Asl, altri privati (ma gratuiti). L’elenco è su federsed.it o al numero verde 800921121.