Anche io, come molti, sono sopravvissuta a un tumore e capisco perfettamente cosa ha detto davvero Nadia Toffa. Quando scrive che il cancro per lei è stato un dono e un’opportunità sta esercitando un diritto sacrosanto di ogni persona malata: quello di attribuire alla sua malattia il valore che crede abbia o abbia avuto nella sua vita.
Lo scandalo sui social network è privo di senso e anche di empatia, perché Toffa ha detto una cosa ovvia e per certi versi salvifica: che la malattia non è un’entità astratta che si presenta a tutti con lo stesso orrore, ma un’esperienza individuale che dà vita alle reazioni più diverse.
Il punto non è il tumore in quanto tale, ma il suo tumore, del quale lei ha tutto il diritto di dare la lettura che preferisce. Ci sono malati per i quali la patologia è una condanna a una troppo grande sofferenza, altri per i quali è l’occasione di ristabilire priorità nei valori, a prescindere dall’esito delle cure. Per alcuni la prospettiva più giusta è scegliere di non soffrire, decidendo fino all’ultimo come declinare la propria dignità. Altri saranno invece così legati alla vita da usare anche l’istante più faticoso per darsi la forza di restare consapevoli fino in fondo alla morte. Per tutti il confronto con la propria fragilità sarà comunque duro e attraversarlo cambia l’anima in modo irrevocabile anche quando si guarisce.
Per questo nessuno ha il diritto di dare parole alla sofferenza di un altro, né di sindacare quelle che sceglie di usare per raccontarla. Se per te è stato un dono, Nadia, gridalo a tutti: per qualcuno sarà prezioso sapere che anche nella malattia si può crescere e sentirsi grati alla vita.
Il libro di Nadia Toffa, Fiorire d’inverno. La mia storia (Mondadori) esce in libreria il 9 ottobre 2018.
Leggi anche: