Come mai in Italia nascono sempre meno bambini? Perché sono sempre meno le mamme. Dal 2008 a oggi le donne in età fertile, cioè quelle tra i 15 e i 50 anni, sono diminuite di 900.000 unità. È uno dei segnali di quella che ho definito “trappola demografica”: una situazione in cui le generazioni dei figli sono meno numerose di quelle dei loro genitori.
L’ultimo rapporto Istat: quasi 140 mila bambini in meno rispetto al 2008
Gli ultimi dati Istat sulla natalità in Italia, d’altronde, lo confermano: nel nostro Paese si fanno sempre meno figli e i dati sono ancora più preoccupanti se confrontati con quelli del 2008, poco più di dieci anni fa. Secondo il recente rapporto, infatti, nel 2018 le nascite sono passate dalle 458 mila del 2017 alle 444 mila del 2018. Nel 2008 erano 576.659, 139.912 in più rispetto allo scorso anno. Il tasso di fecondità è poi sceso da 1,32 a 1,29, mentre i primi figli nati nel 2018 sono stati 204.883, 79 mila in meno rispetto al 2008: una diminuzione del 28 per cento. I nati iscritti all’anagrafe nel 2018 sono stati 439.747, – 4,0% (18 mila) in meno rispetto al 2017. Sempre nel 2018, l’età media alla nascita del primo figlio è di 31,2 anni, 3 anni in più rispetto a quando si diventava genitori nel 1995. Spostando lo sguardo fuori dall’Italia, la situazione sembra meno allarmante, sebbene negli anni che vanno dal 2013 al 2017 le nascite nell’Unione Europea sono rimaste poco sopra i 5 milioni. In questo periodo la Germania ha registrato un aumento del 15 per cento del suo tasso di natalità mentre Francia e Regno Unito hanno subito una leggera flessione, ma è l’Italia a riportare il dato più basso e a spingere verso il basso la natalità europea.
«La tendenza negativa – sottolineano gli analisti – non evidenzia segnali di inversione: stando ai dati provvisori di gennaio-giugno 2019, le nascite sono già quasi 5 mila in meno rispetto allo stesso semestre del 2018. Si tratta di un fenomeno di rilievo, in parte dovuto agli effetti “strutturali” indotti dalle significative modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni. Le donne italiane sono sempre meno numerose: da un lato, le baby boomers (cioè le donne nate tra la seconda metà degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta) stanno uscendo dalla fase riproduttiva (o si stanno avviando a concluderla); dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti. Queste ultime scontano l’effetto del cosiddetto “baby-bust”, la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995. A partire dagli anni Duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane, ha parzialmente contenuto le ricadute. Tuttavia questo effetto compensativo sta lentamente perdendo la propria efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età delle immigrate residenti».
La “scomparsa” di quasi 1 milione di potenziali madri in realtà deriva da un mutamento positivo nella società: il miglioramento dell’istruzione femminile, che si verificato dagli anni ’70 in poi, e il conseguente maggiore ingresso nel mondo del lavoro. Se una donna studia più a lungo e lavora, tende a fare figli più tardi o a farne meno.
Il problema è che la mentalità e la politica non si sono adeguate a questo cambiamento: finora si è fatto ben poco per promuovere occupazione femminile, parità salariale, congedi di paternità, servizi per l’infanzia come gli asili. Risultato: oggi il primo figlio si fa sempre più tardi (la media è quasi 32 anni), con una minore probabilità di averne altri in seguito (la media è 1,32 bambini a testa).
Rispetto agli anni ’70, però, c’è una differenza: allora l’occupazione femminile ha ridotto le nascite, adesso avviene il contrario. Al Centro Nord, dove lavorano di più, le donne hanno più figli. Al Sud, dove ci sono meno impieghi e meno servizi, ne fanno meno. Perché, per crescerli, il doppio stipendio serve più del tempo a casa. Ecco perché, se vogliamo che nascano più bambini, dobbiamo incentivare l’occupazione femminile e aiutare le giovani coppie. Le famiglie rappresentano il grado di vitalità di un Paese. E il suo futuro.
(testo raccolto da Elisa Venco)