Ha dato alla luce, in casa, il proprio figlio e poi l’ha gettato in strada, a Settimo Torinese. Lo ha abbandonato e il piccolo è morto dopo qualche ora in ospedale. I militari dell’Arma e il procuratore di Ivrea, hanno fermato una donna, un’italiana, di 34 anni: la ritengono colpevole dell’omicidio aggravato. E’ la cronaca del 31 maggio 2017. Venti giorni prima, stessa storia: una neonata viene abbandonata e poco dopo muore, a Trieste. Qui però gli inquirenti fermano una ragazza di 16 anni.

E’ possibile per una donna partorire in sicurezza e in anonimato e lasciare il proprio figlio in adozione, senza compromettere la salute e la vita del piccolo? Abbiamo cercato di capirlo con l’aiuto di alcuni esperti.

Che cosa può fare una donna che non vuole il proprio figlio?

Esiste una legge, che prevede il parto in anonimato. Si tratta del Dpr 396 del 2000: è una norma pensata per contrastare l’abbandono dei bambini appena nati, l’aborto e l’infanticidio. «Una volta in ospedale, al momento del parto, le madri possono chiedere di “non essere nominate”. Termine burocratico che individua il non riconoscimento da parte delle madre. L’effetto pratico è che il neonato così può essere dato in adozione in tempi relativamente rapidi a un’altra coppia, reputata idonea dal tribunale e che ha seguito un preciso percorso per l’adozione», ci spiega Maurizio Millo, già presidente del Tribunale per i minori di Bologna ed oggi in quiescenza.

«Questa modalità è garantita anche per le donne sposate: il nome della madre non compare. Il bambino risulta essere figlio di “madre che non intende essere nominata”. Nei registri dell’ospedale, il nome c’è, ma all’autorità giudiziaria non viene comunicato e l’informazione è anche oscurata nell’atto di nascita» aggiunge Emma Avezzù, procuratore capo della Repubblica, presso il Tribunale per i minorenni di Brescia. «Recentemente, la Cassazione ha poi aggiunto che, a distanza di tempo e qualora la madre acconsenta, il figlio può anche chiedere chi sia la madre. Il principio è stato fissato ma si è in attesa della legge che lo applichi. Il figlio potrebbe risalire alla madre, anche se non lo ha riconosciuto, ma solo se la stessa ha dato il suo consenso affinché la sua identità venga svelata».

E la “Ruota degli Esposti”?

La procedura del parto in anonimato viene eseguita in ospedale: è la via più sicura per la salute della madre e del neonato, perché vengono garantite assistenza sanitaria e anonimato totali, nel momento del parto. C’è anche un’altra possibilità: alcuni ospedali hanno riattivato le “ruote degli esposti”. Sono culle moderne, dove la mamma può lasciare il proprio bambino. Una soluzione di emergenza. «Garantisce anche l’anonimato di fatto, oltre che di diritto. La madre non deve presentarsi in reparto e chiederne il non-riconoscimento una volta partorito, ma semplicemente lascia il bambino nella culla. Scatta un sensore e il minore viene immediatamente curato. Quindi si procede con l’adottabilità» aggiunge Millo. Le moderne “ruote degli esposti” si trovano in ospedali come il Federico II di Napoli, la clinica Mangiagalli di Milano, il policlinico Casilino di Roma, al Sant’Anna di Torino; all’Azienda ospedaliera universitaria di Padova e all’ospedale Careggi di Firenze. «E’ una soluzione estrema» ricorda la procuratrice-capo Emma Avezzù «perché partorire in casa, da sole, è comunque un grande rischio».

Ma è possibile il ripensamento da parte della madre?

«L’iter per l’adozione ha tempi molto brevi, perché questa procedura è proprio la più semplice fra le casistiche. Il neonato viene subito dato in affido, entro una settimana. Inizia quindi un periodo di circa 2 mesi, chiamato di pre-affido adottivo. In questo arco di tempo, la madre può ripensarci e chiedere al tribunale che venga riconosciuto il suo diritto di mamma, genitrice del neonato. Naturalmente il Tribunale lo deve accertare: deve tutelare il bene del bambino e il suo diritto a crescere in un contesto per lui sano. Se alla madre biologica è riconosciuta questa capacità, il neonato può anche tornare con la mamma che l’ha messo al mondo» chiarisce l’ex presidente del Tribunale del Minori di Bologna.

Che cosa succede se la mamma è minorenne?

L’età discriminante per i giudici è 16 anni. «Il neonato può essere riconosciuto dalla madre solo se ha compiuto almeno 16 anni. Se ha un’eta inferiore, il bambino nasce da una madre che non può riconoscerlo legalmente. Questa, tuttavia, può chiedere di attendere il compimento del sedicesimo anno, per poi procedere al riconoscimento, ma deve dimostrare di avere una famiglia alle spalle in grado di sostenerla e aiutarla nella crescita del bambino, in modo adeguato. Se il tribunale per i minorenni non lo accerta, può dare in affido il bambino» dice Millo. A maggior ragione, quindi, se la minorenne non vuole il figlio, questi viene dichiarato immediatamente adottabile, proprio perché giuridicamente non potrebbe neppure riconoscerlo».

A chi può rivolgersi una donna che resta incinta e vuole mantenere l’anonimato?

«L’assistenza alla donna in questi casi è garantita dai servizi sanitari territoriali: donne in stato interessante che si sentono o si trovano in difficoltà possono ricevere consigli pratici e soluzioni da prendere grazie a consultori, sportelli e specialisti gestiti dai Servizi sanitari regionali. Ovviamente questi sono tenuti al rispetto della privacy e dell’anonimato» aggiunge ancora Maurizio Millo, già presidente del Tribunale per i minori di Bologna.

E’ possibile che la madre non riconosca il neonato, ma questo sia riconosciuto dal padre?

Il padre può chiedere il riconoscimento del figlio, a prescindere dalla decisione della madre. «Se il bambino è già stato dato in affido, deve rivolgersi al Tribunale per i minorenni e chiedere una sospensione della procedura di adottabilità» ci spiega Emma Avezzù, procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Brescia. «A questo punto, il Tribunale valuta se è il padre effettivo (e può chiedere anche un test genetico) e se può farsi carico da solo del figlio. Prioritario è sempre il bene del neonato».