Noa Pothoven è una ragazza olandese di 17 anni di Arnhem, Paesi Bassi, che da bambina è stata vittima di ripetute violenze sessuali e che nella sua breve vita ha sofferto di depressione, disturbo da stress post-traumatico e anoressia. Domenica scorsa, è morta dopo aver smesso di alimentarsi e di bere, come aveva annunciato sui suoi profili social: «Voglio arrivare dritta al punto: entro un massimo di 10 giorni morirò. Dopo anni di continue lotte, sono svuotata. Ho smesso di mangiare e bere da un po’ di tempo, e dopo molte discussioni e valutazioni, ho deciso di lasciarmi andare perché la mia sofferenza è insopportabile. Respiro, ma non vivo più», aveva scritto nell’ultimo post su Instagram, ora rimosso. La morte di Noa è stata confermata dalla sorella.
La notizia della sua morte è rimbalzata sui media internazionali, in particolar modo su quelli inglesi e italiani, a causa di un fraintendimento: alcuni tabloid e quotidiani, infatti, hanno scritto che la ragazza aveva ottenuto l’eutanasia legale, mentre le cose sembrano essere andate molto diversamente. Nei Paesi Bassi è legale richiedere l’eutanasia anche per le persone che soffrono di disturbi mentali e per i minorenni, purché si rispettino determinate condizioni: non ci sono prove nè conferme ufficiali che Noa o i suoi familiari abbiano fatto richiesta. La ragazza è morta in casa sua e non in una clinica specializzata ed è lecito supporre che sia questo il motivo per cui i giornali olandesi non hanno dato molto spazio alla notizia.
Gli unici dettagli che possano far luce sulla questione li ha raccontati il quotidiano locale Gelderlander, come ricostruito dal Post: «Lo scorso dicembre la ragazza aveva contattato autonomamente una clinica specializzata dell’Aja, per sapere se fosse idonea all’eutanasia o al suicidio assistito. Le avevano risposto di no». Nei suoi diari, confluiti poi nella sua autobiografia “Vincere o imparare”, Noa scriveva: «Pensano che io sia troppo giovane per morire. Pensano che dovrei portare a termine il trattamento psicologico e aspettare che il mio cervello si sviluppi completamente. Non accadrà fino a quando non avrò 21 anni. Sono devastata, perché non posso più aspettare così tanto».
Nel suo libro, la ragazza ha scritto delle violenze subite, prima a 11 anni e poi a 14, quando è stata violentata da due uomini mentre era in giro nella sua città. Ha anche raccontato la lunga strada verso una guarigione che non è mai arrivata, i ricoveri in istituto e le pratiche a cui è stata sottoposta, che a suo dire non hanno fatto altro che farla sprofondare ancora di più nella malattia, il senso di profonda vergogna che non è mai riuscita a superare, la lotta continua contro l’anoressia, l’autolesionismo e i disturbi da stress post traumatico. I suoi genitori avevano anche dichiarato, sempre al Gelderlander, di aver realizzato le intenzioni della figlia solo dopo aver ritrovato una busta di plastica contenente lettere di addio alle persone a lei più care, e di esserne rimasti comprensibilmente sconvolti.
Oggi molti giornali italiani hanno rettificato la notizia mentre Marco Cappato, dell’associazione Luca Coscioni, ha scritto su Facebook: «L’Olanda ha autorizzato l’eutanasia su una 17enne? FALSO!!! I media italiani non hanno verificato. L’Olanda aveva RIFIUTATO l’eutanasia a #Noa. Lei ha smesso di bere e mangiare e si è lasciata morire a casa, coi familiari consenzienti. Si attendono smentite e SCUSE». Probabilmente non sapremo mai com’è andata questa vicenda, ed è giusto così: fa parte di un diritto all’anonimato che oggi sembra non venir più contemplato.