La battuta più bella sul senso di Cenerentola per la vita, e su tutte le implicazioni della storia in cui lui salva lei, è dell’amica aspirante parrucchiera di Julia Roberts in Pretty Woman (è già passato un secolo, ed era l’ultimo secolo in cui le favole avevano un seppur sottile collegamento con la vita reale). Julia Roberts (Vivian), bella di notte, pensa di essersi illusa sulle possibilità amorose con Richard Gere e chiede all’amica, con tono di sfida: «Quando capita davvero? Per chi ha funzionato? Tu fammi un solo esempio di una che conosciamo a cui è andata bene». «Quella gran culo di Cenerentola!», è la risposta.
Cenerentola come simbolo di redenzione
Quella gran culo di Cenerentola è il simbolo universale della possibilità di redenzione e salvezza di una ragazza sfortunata e piuttosto passiva attraverso soggetti esterni: i topolini, la fata, un uomo. Cenerentola non deve fare niente, solo piangere ed essere bionda e virtuosa: a farla diventare una principessa, a farla vivere felice e contenta, ci pensano gli altri. Nemmeno il vestito per la festa si cuce, nemmeno un’idea su come liberarsi della matrigna le viene. Cenerentola, favola antichissima di Charles Perrault, rivisitata in chiave splatter dai fratelli Grimm (con le sorellastre che si mozzano le dita dei piedi per entrare nella scarpetta di cristallo, e le colombe che cavano gli occhi ai cattivi per punirli), ha resistito nei secoli, come le buone cose di pessimo gusto di Guido Gozzano, è stata disprezzata dalle femministe, studiata dagli psicanalisti, e ha accompagnato le bambine fino al limitare dell’adolescenza.
La fanciulla vessata dalle ingiustizie che trova il Principe Azzurro
Tutte abbiamo avuto una Cenerentola come favola della buonanotte, abbiamo ammirato l’abito celeste con cui va al ballo nel castello del re, abbiamo guardato la carrozza ridiventare zucca dopo i dodici rintocchi della mezzanotte. Ma abbiamo mai immaginato di comportarci come lei? Anche se c’è una versione minore della favola in cui finalmente Cenerentola si dà una svegliata e lotta per recuperare quello che è suo (non dimentichiamo che la padrona di casa sarebbe lei, e la matrigna e le sorellastre delle miracolate ospiti), l’immagine archetipica di Cenerentola è quella di una ragazza in lacrime, nera di fuliggine, vessata da tutte le ingiustizie del mondo e incredula di poter anche solo andare al ballo. Anche una fanciulla piuttosto ingenua, che si lascia chiudere a chiave in soffitta dalla matrigna proprio mentre i messi del principe stanno girando di casa in casa per provare la scarpetta a tutte le ragazze del regno.
L’idea della principessa
Certo è consolante la sensazione che qualcuno verrà a salvarci sopra un cavallo bianco (anche la Bella Addormentata e Biancaneve erano piuttosto imbranate), ma non è divertente. E le bambine se ne sono accorte. Nella lunga schiera di principesse Disney Cenerentola ha perso fascino, perché è troppo immobile: le nostre figlie preferiscono la Sirenetta, che disubbidisce al padre, amano Belle de La bella e la bestia, che fa una cosa assurda come innamorarsi di un bestione con le zanne, sono pazze di Merida, la principessa irlandese di Ribelle-The brave (ultima delle creazioni Disney): ragazzina più brava degli uomini con la spada, l’arco e le frecce, e con l’intuizione profonda di un destino che la chiama altrove. Le altre principesse sanno che vogliono innamorarsi, anche di un tanghero, non importa, Merida sa che deve far capire a sua madre chi è davvero e cosa vuole diventare. «Sono Merida, e gareggerò per ottenere la mia mano» è il messaggio per le ragazze del nuovo millennio.
Cenerentola oggi
La preoccupazione anni Settanta sulla necessità di cestinare o almeno modificare in modo politicamente corretto favole in cui le donne sono subalterne a un uomo, e solo a lui legano il loro destino, con una scarpetta o un bacio in fronte, è stata superata direttamente dalla storia: non era necessario censurare Cenerentola, perché presto Cenerentola sarebbe stata sostituita da altri modelli esistenziali. E un conto è sognare il principe azzurro, un altro è passare le sere con una scopa in mano a parlare con i topolini. Nessuna di noi ha in mente Cenerentola nella vita di tutti i giorni, piuttosto una superdonna con mille braccia, come la dea Kalì, ma il fascino della principessa non è ancora andato perduto. Cenerentola è il tema di un grande convegno appena chiuso a Roma, dedicato alle infinite versioni della favola (almeno 350, dalla Russia al Giappone), e di una grande mostra, Mille e una Cenerentola, alla Biblioteca nazionale, che illustra il suo successo, dai libri al cinema, alla pubblicità.
Cenerentola e la moda
La moda non si stanca di celebrarla (dai gioielli di Chopard a Louboutin, che le dedica una preziosissima scarpetta ) e, siamo sincere, è stata infilata anche in quelle famose Cinquanta sfumature che hanno acceso l’estate e reso ricchissima una madre di famiglia inglese: Anastasia è una versione moderna ed erotizzata della brava ragazza docile, e mr Gray è il suo principe azzurro. Lei non fa nulla, lui si occupa di farla mangiare, di comprarle una macchina, un telefono, un computer, le organizza la vita, come prima i topolini e poi la fata e il principe per Cenerentola. È come se, dopo tanto faticare, dopo tanto esserci allontanate, con successo, da Cenerentola, sentissimo il richiamo di un po’ di riposo.
Cenerentola e la capacità di adattamento
Hanna Rosin nel saggio The end of man ci predice la fine degli uomini, in America molte donne guadagnano più dei loro mariti (succede anche qui), la crisi economica mondiale ha portato alla ribalta l’intelligenza femminile, l’ha fatta spiccare per la sua capacità di adattamento, mentre gli uomini sono rimasti indietro, incapaci di reagire. In Cina le ricche imprenditrici girano da sole su grosse Ferrari e gli uomini non si sentono all’altezza, non trovano il modo di diventare i principi azzurri di donne tanto forti, che hanno già regolato i conti da sole con le matrigne infide. In un mondo così, la favola della brava ragazza virtuosa che diventa principessa senza nemmeno dover licenziare qualcuno o partecipare a duecento consigli di amministrazione, ha le fattezze soffici e malinconiche di un mondo (per fortuna) perduto, in cui bastava essere buone e saper fare un’entrata trionfale in società per superare tutte le ingiustizie.