Fa discutere il caso di due coppie che hanno chiamato le figlie Blu. I casi sono finiti in tribunale, dove poi è stato dato il via libera al nome contestato dalla procura. Un esperto spiega regole e obblighi. Anni fa successe con Andrea, all’epoca considerato un nome esclusivamente da uomo. Adesso tocca a Blu. È unisex, femminile o accettato solo per i maschietti? Va bene cosi come è? Oppure deve essere affiancato da un altro nome, per connotare il genere di chi lo porta?
A Milano la domanda si è posta in due casi (e forse più). L’Ufficiale di Stato civile ha segnalato alla procura l’insolito nome dato alle figlie da due coppie di genitori, avviando la procedura per l’eventuale correzione forzata. Il pm con la delega in materia alla fine per entrambe le bimbe ha ritirato la richiesta di correzione presentata inizialmente al tribunale civile. E il giudice ha dato il doppio via libera a Blu. Le piccole potranno continuare a chiamarsi così.
Dall’anagrafe a Palagiustizia
II problema – mantenere il nome particolare oppure costringere mamme e papà ad aggiungere a Blu un nome indiscutibilmente in “rosa”, tipo Maria o Anna – era approdato in un palazzo di giustizia perché la legge italiana prevede che si faccia rispettare un’indicazione di base, con l’intervento della magistratura, se necessario: il nome scelto per un figlio o una figlia deve tassativamente corrispondere al sesso. Secondo una scuola di pensiero, tornando agli ultimissimi casi, «considerato che si tratta di nome moderno legato al termine inglese Blue (ossia il colore Blu), e che non può ritenersi attribuibile in modo inequivoco a una persona di sesso femminile, l’atto di nascita va rettificato, anteponendo un nome onomastico indicato dai genitori». Secondo i genitori coinvolti e i loro legali, invece, Blu è sdoganato e in particolare per le femmine. Le statistiche lo confermano, seppur con numeri ancora esigui. L’Istat segnala che in Italia già alcune bimbe sono state chiamate così (6 nel 2016 e 5 nel 2015, ad esempio).
Blu è un nome che comincia a diffondersi
Si conta pure qualche maschietto omonimo (meno di 5, negli stessi due anni), ma è in inferiorità numerica. “E la percezione del nome – argomentano i pro – è sicuramente associata al sesso femminile e non certo a quello maschile”.
Ecco le regole e i divieti
Ma quali sono le regole che disciplinano la scelta del nome, nel nostro Paese, oltre alla corrispondenza con il sesso? Risponde Renzo Calvigioni, formatore e consulente di Anusca, l’associazione nazionale degli ufficiali di Stato civile e di Anagrafe. “È vietato dare a un bambino lo stesso nome del padre o di un fratello o una sorella, se sono viventi. Per la mamma il divieto non c’è e non è dato sapere se sia stata una svista o una scelta precisa del legislatore. Non è possibile assegnare un cognome come nome. E non sono ammessi nomi ridicoli o vergognosi, per evidenti ragioni”.
Altro obbligo. “I nomi stranieri imposti a bimbi con la cittadinanza italiana devono essere espressi in lettere dell’alfabeto italiano, integrato con J, K, X, Y, W. I grafemi particolari, i segni diacritici propri dell’alfabeto della lingua di origine del nomi (accenti vari, ganci…) vengono mantenuti, se è possibile. Se non è possibile, si procede diversamente. Un esempio? La u dei nomi tedeschi con sopra la dieresi (i due puntini), viene tolta e trasformata in ue, tranne in Alto Adige, dove c’è il bilinguismo. Gli accenti a metà dei nomi francesi, altro esempio, non vengono riportati. Spariscono, sempre con l’eccezione prevista per i territori bilingue”.
La legge e le istruzioni ministeriali, altra informazione, “non pongono alcun veto per i nomi storici, letterari o legati alla tv e al mondo dello spettacolo”. All’epoca di Dallas – ricorda l’esperto – “impazzavano le Sue Ellen”.
Basta elenchi sterminati: tre nomi al massimo
Al massimo a un figlio si possono dare tre nomi, non di più. E, se tra l’uno e l’altro si mettono le virgole, annotate, poi in atti, documenti, registri, pagelle e tessere si riporta solo il primo nome. “Quando i genitori indicano un nome che non risponde ai requisiti di legge e alle circolari esplicative – spiega ancora Calvigioni – l’ufficiale di Stato civile lo dice e spiega loro che cosa prevede la normativa. Se mamma e papà insistono, come è successo per le due Blu milanesi e per tante Andrea, il funzionario scrive il nome contestato nell’atto di nascita. Non ha la facoltà di rifiutarsi. Poi però deve segnalare il caso alla procura, obbligatoriamente. Il pm fa le sue valutazioni. Può chiedere al giudice civile, e può anche non farlo o cambiare idea in corsa – e quindi procedere alla rettificazione – d’ufficio. In genere il nome da cambiare non viene mai cancellato e sostituito, ma integrato con un altro nome, legato al genere del neonato”.
Tutelati i bimbi abbandonati o non riconosciuti
Nel caso di bambini abbandonati, o non riconosciuti dalle madri e dai padri, “non possono essere imposti nomi o cognomi che facciano intendere l’origine naturale (Esposito, Degli Esposti, Innocenti, Donata, Angelo…) o cognomi di importanza storica o appartenenti a famiglie particolarmente conosciute nel luogo in cui l’atto di nascita è formato”, per evitare chiacchiere, malignità e correlazioni senza fondamento.