Le banane devono essere lunghe più di 14 centimetri. La curvatura dei cetrioli non può superare i 10 millimetri. E il diametro “giusto” delle vongole è 2,5 centimetri. Norme strampalate? Macché. Si tratta di indicazioni che valgono in tutti gli Stati dell’Unione europea: direttive solitamente ritenute l’emblema della iper-regolamentazione che affligge le istituzioni comunitarie, tanto pignole su questioni di poco conto quanto inefficienti su temi più seri come l’immigrazione o la politica militare.
Ma sono davvero leggi inutili? Lo abbiamo chiesto agli esperti.
COSA C'É DIETRO QUESTE NORME? «L’Unione europea, prima che come entità politica, è nata negli anni ’50 come unione commerciale tra Stati, sulla base della libera circolazione delle merci» spiega Dario Dongo, docente di Diritto alimentare all’università Bicocca di Milano e fondatore del sito Great italian food trade, che promuove la cultura agroalimentare italiana. «Significa che i Paesi che fanno parte dell’Ue, per poter vendere i propri prodotti sul mercato, hanno dovuto darsi delle regole comuni, fissando le misure e gli standard di qualità degli alimenti».
Va bene stabilire norme generali, ma che senso ha definire minuziosamente le varietà di pomodoro o il diametro dell’albicocca, che deve essere di 3 centimetri? «I legislatori europei hanno dovuto tener contodella grande biodiversità nel nostro continente» chiariscel’esperto. «In Europa si producono molte varietà di uno stesso ortaggio o frutto e vanno tutelate. Perché il comparto agroalimentare è il terzo dell’Ue in termini di fatturato».
A CHE SERVONO? «Le norme Ue, per quanto apparentemente strane, fanno parte di un sistema che tutela tutti: dall’agricoltore al commerciante, fino al consumatore» sottolinea Luigi Tozzi, responsabile qualità di Confagricoltura. «Se non ci fossero, circolerebbero liberamente sul mercato prodotti esteri che non rispettano i nostri standard di qualità e di prezzo, e che di conseguenza finirebbero per penalizzare gli agricoltori europei». Ma cosa succede se una mela non è della misura giusta? Viene gettata via? «Nulla viene buttato» assicura Tozzi. «L’agricoltore può utilizzare i prodotti non “a norma” per trasformarli in marmellate o succhi. In questo modo le perdite vengono ridotte al minimo».
E dal punto di vista del consumatore? «Le leggi che impongono lunghezza o diametro di un alimento evitano la vendita di frutta e verdura poco mature. Un ortaggio raccolto anzitempo non ha una buona qualità nutritiva e contiene una più alta percentuale di acqua. È questo il senso, per esempio, della norma in base alla quale un baccello deve contenere almeno 3 piselli. Il suo fine è impedire che venga venduto al consumatore un prodotto immangiabile o scadente» chiarisce Valerio Giaccone,docente di Sicurezza alimentare all’università di Padova.
SONO UN VINCOLO O UNA GARANZIA? «I pescatori di vongole dell’Adriatico si sentono penalizzati dal regolamento europeo che vieta di catturare gli esemplari che non raggiungono i 2,5 centimetri di diametro» spiega Dario Dongo, docente di Diritto alimentare all’università Bicocca di Milano. «A loro avviso, la norma è troppo puntigliosa e dura, perché li espone al rischio di una multa di 4.000 euro anche per una sola vongola di misura inferiore. Inoltre, sempre a loro dire, è molto difficile pescare mitili con quei parametri, dato che negli ultimi anni le vongole dell’Adriatico non sono cresciute abbastanza, fermandosi in media a 2,2 centimetri di diametro».
C’è però un altro lato della medaglia.«Il limite dei 2,5 centimetri serve a preservare la specie, perché la vongola può riprodursi solo a partire da quella taglia. Se la si raccoglie prima, si blocca il ripopolamento e si impoverisce il mare» chiarisce Valerio Giaccone dell’università di Padova. Secondo i dati dell’ultimo rapporto della Fao, i pesci stanno diminuendo sempre di più: si è passati dalle 86.000 tonnellate di pescato del 1996 alle 79.000 del 2012. «Misure come questa tentano di mettere in sicurezza i nostri mari dopo anni senza limiti e senza regole» conclude Giaccone