È Novavax, diverso sia da Pfizer e Moderna (a Rna), sia da Johnson&Johnson e AstraZeneca (a vettore virale): è a base proteica, una tecnica già in uso da 30 anni per altri vaccini come quelli contro epatite B, meningococco e Hpv. Per questo potrebbe convincere chi finora ha avuto dubbi nel vaccinarsi.
Al momento prevede due somministrazioni a distanza di 21 giorni l’una dall’altra e non l’eterologa, cioè non si mixerà con altri sieri: per questo è riservato alle sole prime dosi e non sarà usato come “booster” per chi ha già completato o avviato un ciclo vaccinale.
Le prime prenotazioni
Sono già diverse le Regioni che si sono attrezzate per le prenotazioni di Novavax: nel Lazio iniziano il 24 febbraio, nelle Marche sono state anticipate al 23, mentre Piemonte e Lombardia cominceranno le inoculazioni da lunedì 28. L’avvio dell’organizzazione degli hub per le somministrazioni ha subito qualche ritardo, collegato al ritardo stesso nelle consegne delle prime dosi, inizialmente previste per metà/fine gennaio. Fin da dicembre, invece, l’agenzia europea per il farmaco Ema aveva dato l’autorizzazione.
Gli studi clinici condotti finora indicano un’efficacia del 100% nella protezione contro la malattia grave e moderata, e del 90,4% nel complesso. Ha anche altri vantaggi, come la facilità di conservazione e la possibilità che possa essere somministrato in breve anche in età pediatrica, dopo che il comitato per i farmaci per i bambini (Pdco) ha emesso un primo parere favorevole sulla base dell’indagine pediatrica dell’azienda, cioè il documento che indica le modalità d’uso anche per i più piccoli.
Ecco l’opinione di Massimo Ciccozzi, docente di Epidemiologia molecolare presso l’Università Campus Biomedico di Roma e tra i massimi esperti di varianti.
Come funziona?
«Si tratta di un vaccino che ha funzionamento molto differente rispetto a quelli autorizzati finora. È “proteico”, cioè costituito da nanoparticelle ossia piccolissime particelle della proteina Spike, a cui viene unito un adiuvante che serve ad aumentare la risposta immunitaria da parte degli anticorpi. Il meccanismo, quindi, è completamente diverso rispetto ai vaccini a m-Rna, perché questi prevedono di “inserire” nella cellula un messaggio in grado di far produrre alla cellula una proteina simile a Spike per stimolare la creazione di anticorpi. Si può dire che si fonda su una concezione ormai molto collaudata da circa 30 anni. Basti pensare che si tratta della stessa tecnica utilizzata per vaccini che ben conosciamo come quelli contro l’Epatite B, il meningococco, ma anche per l’herpes e l’HPV» spiega Massimo Ciccozzi.
È diverso dagli altri vaccini anti-Covid?
Il vaccino Novavax è differente non solo rispetto a quelli di nuovissima generazione, come quelli a Rna messaggero (Pfizer e Moderna), ma anche rispetto ad AstraZeneca e Johnson&Johnson: «Sì, in questo caso non si parla né di ingegneria genetica come per quelli a mRna, né di tecnica a vettore virale: di fatto è una concezione “vecchia”, che però ha sempre funzionato e bene» spiega l’esperto epidemiologo molecolare.
Quali gli effetti collaterali?
«Ne ha pochissimi e sono quelli comuni ai vaccini proteici, cioè febbricola, male al braccio nella sede di inoculo, comunque passeggeri. Sono state notate alcune miocarditi, ma corrette con anti-infiammatori in modo rapido e semplice – spiega l’esperto – Per questi motivi, cioè il fatto di avere pochissimi effetti collaterali ed è essere una tecnica collaudata, piace molto. Speriamo che sia immesso in commercio il prima possibile, anche perché è più facile da gestire e conservare».
Quante dosi servono?
«Sono previste due somministrazioni, a distanza di 21 giorni l’una dall’altra.
Come si conserva?
A differenza dei vaccini a mRna, che necessitano di essere conservati a bassissime temperature, come 20 o 70 gradi sotto zero, il vaccino di Novavax come tutti i proteici può essere tenuto in un normale frigorifero a 4°C. È anche il motivo per cui molti vaccini destinati soprattutto ai Paesi meno sviluppati, come l’Africa, sono prodotti con questa tecnica: perché possono essere veicolati e conservati in modo più semplice, senza problemi di rispetto di una catena del freddo rigorosa» spiega il professore dell’Università Campus Biomedico di Roma.
Potrebbe andar bene anche per i bambini?
«Al momento è stato formulato per destinatari adulti, mentre ad oggi l’unico vaccino autorizzato per l’età pediatrica è Pfizer. Ma credo che, ora che è stato autorizzato per gli over 18, sarà chiesto il via libera anche per i più giovani. Questo anche in considerazione del fatto che esistono già molti vaccini pediatrici che utilizzano la stessa tecnica, come appunto l’anti-meningococco o l’HPV, che viene somministrato dai bambini e ragazzini. Cambia il micro-organismo, ma il meccanismo è identico» spiega Ciccozzi.
Visto che è così collaudato, perché arriva solo adesso?
«Da un lato l’azienda farmaceutica è partita più tardi rispetto alle altre; dall’altro c’è un discorso di rischio di varianti. La proteina Spike ha molta più facilità a mutare: se ci si accorge che perde efficacia, è più semplice e veloce cambiare un vaccino a mRna, perché bastano tre mesi, quindi i grandi produttori hanno scelto di investire in questa direzione» risponde Ciccozzi. «Rispetto a un batterio, un virus è molto di più. Anche tra i virus ci possono essere differenze: per esempio, la proteina del virus dell’HPV muta meno, con minor rapidità e ormai è stabile, mentre il sars-Cov2 purtroppo dà moltissime mutazioni sulla proteina Spike» aggiunge l’epidemiologo.
Quanto è sicuro?
Il Comitato per i medicinali umani (Chmp) dell’EMA ha valutato e approvato il vaccino sulla base dei dati che sono stati ritenuti solidi e soddisfacenti rispetto ai criteri dell’Ue per l’efficacia, la sicurezza e la qualità. In particolare sono due gli studi sul prodotto, condotti su oltre 45mila persone.
«Presi insieme, i risultati dei due studi mostrano un’efficacia del vaccino per Nuvaxovid di circa il 90%. Il ceppo originale di Sars-Cov-2 e alcune varianti preoccupanti come Alpha e Beta erano i ceppi virali più comuni in circolazione quando gli studi erano in corso. Attualmente sono disponibili dati limitati sull’efficacia di Nuvaxovid contro altre varianti preoccupanti, incluso Omicron» ha spiegato l’Agenzia europea Ema.
Omicron: serve davvero un nuovo vaccino?
A proposito di mutazioni, molti esperti internazionali, compreso il virologo e consulente della Casa Bianca Anthony Fauci, hanno affermato che non sarebbe necessaria una nuova formulazione di vaccini contro la variante Omicron, almeno sulla base dei dati attuali. «Sì, da quello che possiamo vedere finora, la terza dose offre garanzie di protezione anche nei confronti della nuova mutazione, che pure al momento è ancora poco diffusa in Italia – conferma Ciccozzi – Questo perché, nonostante la variante, è in grado di risvegliare la memoria immunologica, cioè il ricordo del virus che conservano le cellule che si trovano nel midollo osseo, e che si aggiunge agli anticorpi stimolati con la dose booster».