È il sogno di ogni nuora zittita: avere un’amica che fa le domande giuste e passare il pomeriggio a spalare maldicenze su quella famiglia scellerata che incidentalmente ha prodotto suo marito. Ma quando sei Meghan del Sussex, capita che l’amica sia Oprah Winfrey, e che quella chiacchierata diventi un’intervista di 85 minuti più (moltissima) pubblicità che in una notte fa il giro del mondo. Al netto di trucco, parrucco e una qual professionalità nel recapitare accuse micidiali con voce di velluto – noi saremmo più stridule, ammettiamolo – gli argomenti sono oltremodo familiari. A cominciare dall’accusa più grave, quella di razzismo.
Durante l’intervista, Meghan e Harry hanno raccontato che prima della nascita di Archie a corte ci sono state conversazioni su «quanto sarebbe stata scura la pelle del bambino». Il che raccapriccia, ma non sorprende. Lo sanno bene le titolari di coppie miste, ma anche chi dal Sud è andata a innamorarsi al Nord (talvolta viceversa) e senza dubbio le mamme adottive costrette a spiegare mille volte che no, «cinesina» non è un vezzeggiativo appropriato per la nipote nata in Thailandia. A volte è ignoranza, sempre superficialità, più di rado cattiveria. È una forma di razzismo endemico che le vecchie generazioni hanno assorbito senza intenzione, e da cui per questo è difficilissimo liberarsi, anche quando le dichiarazioni sono inclusive e i gesti sinceramente affettuosi.
Lo sa chi dal sud si sposa al nord, chi fa parte di una coppia mista, chi adotta un bambino straniero: c’è sempre il parente affetto da un certo sgradevole razzismo endemico
Uno scontro culturale
Quello tra Meghan e la famiglia reale britannica è innanzitutto uno scontro culturale. Tra loro, che credono sia legittimo disporre le vite degli altri nell’ordine gerarchico stabilito dalla nascita, e lei, che invece è cresciuta convinta dell’esistenza di un diritto naturale non solo alla felicità, ma pure alla ricchezza e al potere: basta essere risoluti abbastanza. Tra loro, che credono nel valore di un bene superiore cui sacrificare desideri o ambizioni, e lei, che invece è cresciuta nel Paese in cui essere se stessi può diventare una professione, un reality show, un marchio di fabbrica.
Sembra incredibile sentire Meghan raccontare di non aver avuto idea, prima di sposarsi, della vita che l’aspettava: per sapere che alla regina si deve fare l’inchino anche a colazione basta aver visto i film sulla principessa Sissi. Ma nel suo modo di comunicare, fatto di brevi storie una dietro l’altra come fosse Instagram, quell’episodio significa: non ero pronta a contare meno degli altri persino a casa mia.
L’incubo di ogni matriarca abituata a comandare
È l’incubo di ogni matriarca abituata a comandare: avere una nuora determinata a offendersi. Una che si lamenta sempre, non si accontenta mai. Dal loro punto di vista, i Windsor hanno fatto il possibile per accogliere Meghan oltre ogni ragionevole diffidenza. Senz’altro ci saranno state perplessità negli angoli meno illuminati del Palazzo, ma la posizione condivisa è stata da subito di volenterosa apertura. Tanto che poche settimane dopo il fidanzamento, quando Meghan venne invitata a passare il Natale a Sandringham ancorché soltanto fidanzata, Harry si affrettò a dichiarare che i reali ormai costituivano «la famiglia che lei non ha mai avuto». Carlo l’ha accompagnata all’altare, Elisabetta le ha regalato orecchini e buoni consigli: un inizio straordinariamente promettente.
In cambio si aspettavano che Meghan imparasse a incassare. A rimanere imperturbabile davanti alla battuta infelice, alla domanda inopportuna, al titolo becero sul web, al fatto che a tratti la verità potesse essere distorta per proteggere la reputazione di quelli più in alto nella classifica delle precedenze. È ipocrita, sì, ma è anche lo scopo del gioco: la popolarità della monarchia si fonda sul rappresentare tutti, compresi gli immigrati, senza inimicarsi nessuno, figuriamoci i giornali.
A parte Diana, che però del manipolare la stampa aveva fatto un’arte, pensate a Sarah, “The Duchess of Pork”; a Kate, che chiamavano “glicine” perché «altamente decorativa, terribilmente profumata, ferocemente rampicante»; a Camilla, detta “Rottweiler”. Senza che nessuno si sognasse mai di intervenire. Ogni famiglia è discriminatoria a modo suo. A tutte le madri (e i padri, e i fratelli, e le cognate) bisogna dimostrare – col tempo, un po’ d’astuzia e infinita pazienza – di meritare l’ingresso nella ristretta cerchia degli affidabili.
Tra rigidità istituzionale e diplomazia
Nella risposta ufficiale di Buckingham Palace la rigidità istituzionale fa spazio alla diplomazia: «L’intera famiglia è addolorata nell’apprendere quanto difficili siano stati gli ultimi anni per Harry e Meghan» e, benché sugli episodi di razzismo «il ricordo sia diverso, la questione è seria e verrà affrontata privatamente». Ovvero: davvero c’è stato chi ha chiesto «quanto sarebbe stata scura la pelle del bambino»? È probabile, magari non proprio in quei termini. Dopotutto, si può sempre contare su un parente abbastanza sgradevole da porre una domanda simile, senza nemmeno dover scomodare un passato da impero coloniale. La soddisfazione di mandarlo al diavolo, in mondovisione, è perfettamente comprensibile. Ma la linea di condotta della regina resta ferrea: le beghe di famiglia non sono affari di Stato. È solo in questa distinzione che la Corona può sopravvivere a se stessa.