A Lugano ho avuto occasione di visitare una residenza per anziani, l’Istituto Sociale Comunale Gemmo, una struttura pubblica che ha dalla sua tutta l’energia di due donne straordinarie, Veronica e Daniela, e dove si prova ad affrontare l’Alzheimer in maniera diversa. Gemmo non offre soltanto ricovero e assistenza, ma vera e propria accoglienza, e lo fa sul piano spirituale, prima che tecnico e formale.
Il principio fondante è quello di evitare ogni forma non solo di contenzione e sedazione sistematica, ma anche di emarginazione e preclusione. Perché l’Alzheimer pone le stesse problematiche sociali di altre malattie storicamente considerate imbarazzanti, come le psicosi o l’Aids.
Lo scopo, dunque, è proprio questo: imparare ad accettare l’aspetto felliniano del paziente con Alzheimer, senza imporgli assurdi confronti con la cosiddetta normalità.
Spazi, percorsi, colori, luci, sono studiati per consentire ai degenti di esprimersi liberamente, senza accumulare tensione. L’aromaterapia, in particolare, riveste un ruolo molto importante. Qualche goccia di lavanda sul cuscino, ad esempio, può aiutare a riposare meglio la notte (provate…).
Daniela, che mi guida, ha una vocazione quasi missionaria. Ne ha presi di cazzotti e ceffoni dai suoi malati, ma continua ad amare il lavoro con passione. Lo si vede dall’orgoglio materno con cui mi mostra la meravigliosa umanità che colora il suo reparto. Una lezione preziosa, la sua, specie al confronto col moltiplicarsi in cronaca di torbide storie che ci parlano di maltrattamenti contro anziani e disabili.
Ad un tratto, una signora sugli ottanta c’interrompe. Fin dal principio s’è aggirata intorno a noi, e ora s’avvicina e mi prende per mano. Senza dire una parola mi accompagna per alcuni metri. Poi, in fondo al corridoio, in una sala di ricreazione dove sono raccolte altre anime eccentriche, mi lascia e va in cerca di una nuova mano da stringere.
Poco più avanti bussiamo a una porta. Entriamo. Ci accoglie un signore seduto a un tavolino. È un ex direttore di banca che ha trasformato la camera in ufficio. Rimette continuamente in ordine delle carte, fingendo, credo, che siano fatture e documenti. Ci saluta con una certa formalità e al momento di separarci ci accompagna alla porta come clienti che lasciano la sua agenzia.
Alla fine della visita appare un altro paziente, che – senza nemmeno avvicinarsi – si prende l’incarico di congedarmi. Si scusa, perché non ha potuto «fare di più per me». Dalle sue parole comprendo che mi considera un suo ospite, così come considera quel posto casa sua.
E francamente non posso immaginare un successo più grande per un luogo che accoglie dei malati.
Lo scrittore Flavio Pagano ha cominciato a occuparsi di Alzheimer quando la malattia ha toccato la sua vita, colpendo la madre, esperienza da cui è nato il romanzo-verità Perdutamente (Giunti). Questa è la seconda storia di una serie, “Mai soli”, che vuol raccontare e ascoltare l’universo parallelo che è l’Alzheimer. L’universo di coloro che ne sono colpiti e di chi li assiste, perché curare vuol dire prima di tutto prendersi cura dell’altro.
Le altre storie:
1. Il giorno che mia madre non mi ha riconosciuto
#Perdutamente #Alzheimer #maisoli