L’aumento dei bambini obesi
L’allarme arriva puntuale alla vigilia della Giornata mondiale dell’obesità, che ricorre dal 2015 è stata fissata per il 4 marzo. Il numero di obesi cresce, soprattutto tra i bambini, ma non solo. Secondo le stime più recenti, le attuali strategie per contrastare il fenomeno (dieta e, in alcuni casi, il percorso psicologico) potrebbero non bastare, tanto che si fa largo il ricorso anche ai farmaci tra i bambini dai 12 anni in su.
I bambini obesi in Italia
Si ritiene, infatti, che almeno il 40% dei bambini con obesità non risolverà il problema in età adulta, con un conseguente aumento del rischio di mortalità nel lungo periodo. Nel 2030 si calcola che saranno 253 milioni i giovanissimi in sovrappeso o obesi nel mondo: un numero superiore a quelli che invece soffrono di malnutrizione. La situazione non è migliore in Italia, dove il 10% di bambini è obeso, pari a circa 700mila fra i 5 anni e i 15 anni. Di questi più di 150.000 hanno una forma di obesità grave e solo in minima parte il motivo è di natura genetica. Da qui la posizione della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), che annuncia l’arrivo delle nuove raccomandazioni per il trattamento della malattia proprio in età pediatrica.
Anche i farmaci negli obesi under 12
In occasione della Giornata mondiale dell’obesità, gli esperti della SIEDP hanno aggiornato le linee guida, seguendo l’esempio degli Stati Uniti, con una forte raccomandazione per la terapia farmacologica e l’ingresso nella pratica clinica. Naturalmente le medicine non rappresentano un via semplice da imboccare né devono rappresentare un’alternativa più rapida per raggiungere il risultato di un calo di peso.
L’obesità è una malattia
«L’obesità non è una colpa né una scelta, ma una malattia cronica e complessa non del bambino ma di tutta la famiglia», afferma Mariacarolina Salerno, presidente SIEDP e direttore dell’Unità di Pediatria Endocrinologica del Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali dell’Università Federico II di Napoli.
«Ma dire che l’obesità è una malattia non significa che è sempre necessario un approccio farmacologico né tantomeno chirurgico – aggiunge Maria Rosaria Licenziati, segretario generale della SIEDP e direttore dell’Unità di Malattie Neuro-Endocrine e Centro Obesità dell’AORN Santobono-Pausilipon di Napoli, coautrice delle nuove linee guida –. Lotta alla sedentarietà e un’alimentazione sana degli adolescenti e delle loro famiglie rappresentano il primo tentativo da fare: l’importante è intervenire tempestivamente quando l’obesità non è grave per scongiurare, quando possibile, il ricorso al farmaco».
L’approccio deve essere a 360 gradi
Tra le diverse fasce d’età tra le quali il fenomeno è in crescita c’è l’adolescenza. Da qui l’allarme degli esperti, che però oggi possono contare anche su nuove terapie farmacologiche e chirurgiche da abbinare al supporto psicologico. «L’approccio del medico con un ragazzo o una ragazza con problemi di obesità deve sempre essere olistico e comprendere gli aspetti fisici, psicologici, comportamentali ed emotivi, in un’età molto delicata dello sviluppo. L’obesità può essere causata o legata in vario modo a disturbi dell’alimentazione come la bulimia. La sola dieta è limitante» spiega Marco Pandolfi, pediatra e adolescentologo, ex direttore della struttura semplice di medicina dell’adolescenza presso la Casa pediatrica del Fatebenefratelli di Milano.
I nuovi farmaci nell’obesità adulta
Sul fronte farmacologico esistono alcuni medicinali di nuovo uso come il Liraglutide, impiegato finora nella cura del diabete. In alcuni casi di particolare gravità si fa anche ricorso alla Fantermina, un anoressizzante che riduce il senso di fame (in commercio negli Usa, ma non in Italia) in combinazione con il Topiramato, che è un antiepilettico prescritto anche per emicrania e alcune malattie psichiatriche. «Il Liraglutide è usato quando ci sono alterazioni importanti della glicemia e problemi di insulina, per migliorare il metabolismo del glucosio, mentre il Topiramato può essere di aiuto nella gestione comportamentale, perché agisce sui centri che regolano il senso di fame e sazietà» spiega Pandolfi.
Bambini obesi: farmaci in casi rari
«Il Topiramato è forse il farmaco più gestibile anche per quanto riguarda gli effetti collaterali che riguardano soprattutto il fegato. La sua somministrazione, quindi, va sempre monitorata e abbinata a una dieta equilibrata, mai però nell’età pediatrica. Per i bambini infatti, le linee guida della Società italiana di Pediatria indicano l’uso di un farmaco – Orlistat – solo in casi estremi di grave obesità. Si tratta sempre di medicinali a cui ricorrere, dietro specifica indicazione del medico curante, solo in casi limitati quando lo stato di salute del ragazzo o della ragazza può essere compromesso dall’obesità, cioè quando si rischiano ipertensione, diabete di tipo 2, problematiche cardiologiche o sindrome metabolica. Altrimenti la strada principale è quella psicologica e nutrizionale» spiega l’esperto adolescentologo.
Le donne sono più colpite
Negli adulti l’obesità è più presente nelle donne rispetto agli uomini, rispettivamente 38,8% e 34,3%. «Anche negli adolescenti va prestata particolare attenzione alle ragazze, soprattutto nel momento dello sviluppo puberale. In entrambi i sessi, però, è importante il coinvolgimento della famiglia, che in alcuni casi può essere obesizzante. Se a tavola si pasteggia con bibite gassate invece che acqua minerale, per esempio, non si darà un buon esempio di alimentazione corretta» spiega Pandolfi.
La terapia psicologica per l’obesità
A dieta, movimento fisico e farmaci, si associa anche l’aiuto psicologico, che negli ultimi tempi non è solo di tipo cognitivo comportamentale: «I due approcci più diffusi sono quello cognitivo-comportamentale, che predilige indicazioni e regole chiare (per esempio, tenere un diario quotidiano di ciò che si mangia, per arrivare a cambiare i propri comportamenti) e quello psico-dinamico e psicoanalitico, che invece punta l’attenzione sulle cause che hanno portato all’obesità. Negli adolescenti si tratta soprattutto di una mancata accettazione di sé, di un senso di inadeguatezza, che si manifesta tramite il corpo, con un paradosso: spesso i ragazzi obesi hanno vergogna e paura a scoprirsi perché si sentono insicuri o si vedono brutti, in realtà mangiando e aumentando il loro peso non fanno altro che attirare l’attenzione. Un’attenzione che, tra i coetanei, è molto spesso negativa perché la nostra società ha modelli di bellezza che si basano sulla magrezza, quindi capita spesso che l’adolescente obeso finisca con l’essere allontanato dal gruppo e diventare vittima di bullismo» spiega la psicologa e psicoterapeuta Simona Chiozza, esperta di disturbi dell’alimentazione.
La dieta da sola non basta
«Il primo passo per aiutare un adolescente obeso è spostare l’attenzione dal corpo, di cui si vergogna e che non gli piace, evitando di ripetergli che deve dimagrire, seguire una dieta o fare sport. È bene non colpevolizzarlo, perché vive già un senso di vergogna e spesso mangia di nascosto. La famiglia dovrebbe piuttosto cercare di stargli vicino e riconoscere che non è solo un problema di peso e corpo. Prima di portarlo dal dietologo, quindi, può essere utile un intervento psicologico anche se i ragazzi faticano ad accettare lo psicologo e preferirebbero seguire una dieta. Questo perché spesso capita che il sovrappeso che si manifesta da bambini o adolescenti si trasformi in età adulta in un problema opposto come l’anoressia» spiega Chiozza.
La chirurgia: solo negli adulti
Nei casi più difficili e laddove la terapia psicologia e farmacologia non abbiano dato i risultati sperati, si ricorre alla chirurgia. Nel caso degli adulti, gli interventi previsti in soggetti con obesità grave sono il bypass gastrico (Roux-en-Y) e la gastrectomia verticale. Questi interventi non sono usati negli adolescenti sia per i possibili rischi legati all’intervento in sé sia per effetti di lungo periodo (problemi di malassorbimento).
Nei più giovani si ricorre a volte al palloncino endogastrico. Si tratta di una piccola sfera da ingerire che, posizionandosi nello stomaco con un sondino, induce il senso di sazietà e quindi riduce la quantità di cibo ingerito. «Al Fatebenefratelli per esempio l’abbiamo applicato a una ragazza che così ha perso 60 kg, ma questo è stato il risultato di un lavoro di team. Il nutrizionista l’aveva seguita soprattutto per garantire il giusto apporto di nutrienti come calcio e vitamina D, fondamentali nell’età dell’adolescenza. Un altro medico la incontrava ogni settimana per controllare le condizioni di salute, senza dare troppa importanza al peso. E questo la faceva sentire seguita. Ciò le ha permesso di superare anche una problematica vecchia e non risolta di bullismo che stava alla base del suo comportamento alimentare scorretto» spiega Pandolfi.
La cura deve essere personalizzata
Negli ultimi tempi si va sempre più in direzione di una “medicina personalizzata”, dunque con interventi mirati a seconda delle caratteristiche genetiche, fisiologiche, psicologiche e di contesto sociale. «È fondamentale, specie per queste problematiche, non generalizzare e, trattandosi di adolescenti, coinvolgere anche le famiglie, che sono protagoniste sia a livello comportamentale che alimentare» conclude l’esperto.