L’ultima è Carola Rackete, la comandante della Sea Watch 3 arrestata lo scorso venerdì a Lampedusa, con l’accusa di aver violato il Decreto Sicurezza Bis e di tentato naufragio nei confronti di un gommone della Guardia di Finanza. Al di là della complicata vicenda in cui è coinvolta Rackete – e cioè il braccio di ferro tra il Ministero dell’interno guidato da Matteo Salvini e le Ong presenti nel Mediterraneo – è doveroso constatare il trattamento che le è stato riservato.
Prima all’arrivo sul molo, dove è stata ricoperta di insulti da parte di una piccola delegazione di leghisti del posto, che le ha rivolto i peggiori epiteti (schifosa! zecca! zingara!) e le ha augurato lo stupro di gruppo (uno di loro si è anche scusato, ma con poca convinzione). Quindi online: basta scorrere i commenti di un qualsiasi articolo dedicato a Rackete per leggere una marea di bestialità, tra chi le rinfaccia il suo curriculum eccellente (figlia di papà! radical chic!) e chi la attacca per il suo aspetto fisico, i rasta, la decisione di andare in mare con la Sea Watch e chissà cos’altro.
Non è certo la prima volta che il veleno dilaga sui social contro una donna che ha “osato” esporsi, per motivi giusti o sbagliati che siano: è successo recentemente a Emma Marrone, per aver espresso il suo appoggio alla stessa Rackete, è successo a Laura Boldrini, che ha denunciato i suoi odiatori seriali, a Samantha Cristoforetti, a Michela Murgia e ad Agnese Renzi, giusto per citare i casi più eclatanti. È successo anche a Giorgia Meloni.
La ricerca: le donne nel mirino degli hater online
Come segnalato dal Il Sole 24 Ore, gli ultimi dati raccolti da Vox-Osservatorio italiano sui diritti parlano chiaro: con circa 40mila tweet negativi nel giro di tre mesi, dal marzo al maggio 2019, le donne si confermano tra le categorie maggiormente nel mirino degli hater via social, in aumento dell’1,7% rispetto allo stesso periodo del 2018.
Diminuiscono (e meno male) per il secondo anno di fila i tweet di odio nei confronti degli omosessuali (-4,2%), ma le donne rimangono saldamente su questo triste podio al fianco dei musulmani, con 30.387 tweet negativi, e dei migranti, contro i quali sono stati indirizzati addirittura 49.695 tweet negativi.
Il libro: navigare la manosphere, un universo digitale a misura di maschio (violento)
Nel loro “Il web che odia le donne”, Rossella Dolce e Fiorenzo Pilla fanno un riassunto dei vari, complicati, aspetti che caratterizzano la “manosphere” digitale, ovvero «un agglomerato di blog, siti web, forum, pagine, dedicati a elementi ideologici e di discussione in cui è centrale il ruolo dell’uomo, integrato in una visione che comprende ipotetici fattori di conflitto sociale e di genere».
Non è un fenomeno facile da inquadrare, perché per sua natura estremamente disgregato: si tratta infatti di «concetti, idee, archetipi ricorrenti in contesti che possono essere molto diversi fra loro, sia nei presupposti che nell’azione, con gruppi e ideologie che a volte coincidono, altre si scontrano».
Nella manosphere rietrano ad esempio gli incel, gli “involontariamente celibi” che si sono resi protagonisti di stragi di donne, come Elliot Rodger a Isla Vista nel 2014, ma anche i “pick up artist”, che costruiscono la loro carriera insegnando a ragazzi e uomini insicuri come “conquistare” le donne sottomettondole con la violenza o ingannadole, e i Men’s Rights Activists, che si battono per i diritti dei padri divorziati o separati (e fin qui non ci sarebbe nulla di male), ma sempre a partire da una posizione di disprezzo nei confronti delle ex compagne, considerate approfittatrici, sfasciafamiglie, intrisecamente malvagie.
La manosphere è indice di una più generalizzata misoginia che trova terreno fertile per diffondersi online, dove l’apparente anonimato e l’idea di una platea virtuale spesso creano una sensazione di impunità. Queste pagine sono accomunate da un odio profondo verso il femminismo, considerata l’ideologia che ha corrotto la società e relegato gli uomini al margine, e dalla costruzione di gerarchie semplificate (maschio Alfa, maschio Beta, maschio Omega) che dividerebbero gli uomini in base al loro aspetto fisico e alla loro capacità di portarsi a letto quante più donne possibili.
“Radicalizzarsi” sul web, d’altronde, è più facile di quanto si pensi, soprattutto quando si è giovani e si attraversano le normali insicurezze adolescenziali: lo ha scritto anche Zeynep Tufekci sul New York Times a proposito di YouTube. I contenuti misogini, razzisti e sessisti sono infatti accessibili tanto quanto l’ultimo video del trapper di riferimento o il trailer di un film.
È un fenomeno mondiale ma, come abbiamo visto, l’Italia non rimane indietro: basti pensare al fenomeno del “bomberismo” o alla cosiddetta “Bibbia”, pagine e gruppi Facebook affiliati alla popolare pagine “Sesso, droga e pastorizia”, dove venivano divulgati contenuti di revenge porn. La rete, insomma, può essere un grandissimo strumento di emancipazione, ma anche un enorme buco nero: abbiamo ancora tantissimo lavoro da fare per portare alla luce questi malcostumi e contrapporli a narrazioni alternative.