La passione per la moto, la giovane età, una tragica morte. Destini incrociati, quelli di Elena Aubry e Noemi Carrozza. La prima è morta il 6 maggio, la seconda il 15 giugno. Entrambe a causa del cattivo stato del manto stradale su due arterie principali di Roma, via Ostiense e via Cristoforo Colombo. Non è un caso che per tutte e due si stia indagando con l’ipotesi di omicidio stradale. Quella che viviamo è una strage, silenziosa e sottotraccia. Nel corso dell’ultimo anno, secondo il report realizzato poche settimane fa dal Consiglio Europeo per la Sicurezza Stradale, sulle strade del nostro Paese sono morte 3.340 persone: sono 9 decessi al giorno, per le cause più disparate. «I principali fattori sono innanzitutto l’uso sconsiderato del cellulare, l’abuso di sostanze stupefacenti, il mancato rispetto del codice della strada e, infine, le cattive condizioni del manto stradale» spiega l’avvocato Piergiorgio Assumma, docente presso l’istituto per Ispettori della Polizia e presso la Guardia di Finanza e presidente di Onvos, l’Osservatorio nazionale vittime di omicidio stradale che, oltre a offrire una prima assistenza gratuita e aver creato un team di avvocati esperti in omicidio stradale sul territorio nazionale, monitora anche l’applicazione della legge introdotta ormai 2 anni fa.
C’è un problema con i prelievi effettuati al momento degli incidenti
«Sulla carta la norma è stata un’ottima soluzione» continua Assumma. «Ma presenta alcune lacune». Per esempio, nonostante si prevedano aggravanti per i pirati della strada sotto effetto di alcol o di stupefacenti, a volte diventa difficile riscontrarne la presenza. La ragione? «Non sono possibili prelievi forzati del sangue sul luogo dell’incidente. Questa lacuna può comportare l’inutilizzabilità del riscontro eseguito». O perché effettuato in un secondo momento, quando ormai l’effetto di alcol o droga è svanito, oppure perché i test classici, come quello del palloncino, possono presentare dei “falsi positivi”, cosa che non si verificherebbe con test ematici. Secondo i dati della Polizia di Stato, nei primi 15 mesi di applicazione della legge sull’omicidio stradale, la maggior parte dei casi ha riguardato l’ipotesi più lieve (l’85% dei 388 fascicoli aperti), punita con le medesime sanzioni previste dal precedente regime, quello dell’omicidio colposo aggravato.
Non sono invece previste aggravanti per chi stava utilizzando il cellulare al momento dell’impatto: tutt’al più si aggiunge una multa al totale della pena. Che quasi sempre viene erogata con rito abbreviato, dunque scontata di un terzo. Il caso dell’attore Domenico Diele, condannato ad appena 7 anni e 8 mesi per avere ucciso lo scorso anno una donna mentre guidava sotto effetto di oppiacei e con la patente sospesa, è emblematico. Ma ce ne sono molti altri. Omar, 20enne di Grumello (Bergamo), fu ucciso mentre stava attraversando la strada. «Un’auto a tutta velocità l’ha investito. Nel guidatore era stata riscontrata la presenza di alcol» ricorda la madre. Ma alla fine il processo si è chiuso con il patteggiamento a 2 anni. I genitori di Giada, 17enne investita e uccisa a Varese, hanno invece rinunciato al risarcimento pur di andare in appello dopo una sentenza di condanna che reputavano ingiusta. «La procura» spiegano «aveva chiesto il massimo della pena, ma alla fine il tribunale ha deciso una condanna di 6 anni, nonostante l’omicida non abbia mai mostrato pentimento».
C’è una responsabilità anche da parte delle istituzioni
Ora, peraltro, potrebbe essere la stessa legge sull’omicidio stradale a finire sul banco degli imputati, dopo che il tribunale di Torino ha sollevato questioni di legittimità costituzionale. Secondo alcuni la norma lascia troppa discrezione al giudice con il rischio che si infliggano pene eccessive in alcuni casi, troppo lievi in altre. Intanto l’Onvos sta lavorando a un disegno di legge trasversale per colmare le lacune e, conclude Assumma, «fare in modo che le aggravanti possano essere riscontrate tramite prelievi del sangue obbligatori effettuati al momento». Ma il tragico mondo degli omicidi stradali è fatto anche di casi in cui i responsabili non sono i guidatori distratti, ma le istituzioni, come per Noemi ed Elena.
Ne è certa Graziella Viviano, madre di Elena: «Ogni giorno il dolore ti mangia dentro e cerchi di non pensare ». Ma Graziella ha trovato la forza di mettersi al servizio della comunità portando avanti un progetto per migliorare le strade di Roma. «L’avrebbe fatto mia figlia, lo faccio io» dice. Secondo i dati forniti dalle Assicurazioni di Roma, sarebbero circa 15 milioni gli oneri potenziali a carico del Comune per i sinistri di questo semestre, più del doppio rispetto allo stesso periodo del 2017. «Sono tante le cose che possiamo chiedere all’amministrazione, come l’utilizzo dei fondi europei, o che possiamo fare direttamente». La battaglia, assicura, è solo all’inizio e potrebbe presto portare frutti.
Luglio è il mese più a rischio
Secondo il report del Consiglio Europeo per la Sicurezza Stradale nel 2017 si contano in Europa 25.250 vittime per incidenti, con una riduzione di appena il 2% rispetto all’anno precedente. Per raggiungere l’obiettivo comunitario di dimezzamento del numero dei morti nel 2020 rispetto al 2010, sarebbe stato necessario un calo medio del 6,7% di decessi sulle strade ogni anno. I dati Istat (aggiornati, questi, al 2016) parlano di un totale di 175.791 incidenti stradali con lesioni a persone che hanno provocato, tra morti e feriti, 252.458 vittime. Il mese in cui si riscontra il maggior numero di incidenti stradali con lesioni a persone è luglio (16.981 nel 2016). Seguono i mesi di maggio e di giugno.