«Non possiamo operarla, signora Sposetti. Non è urgente». Valentina ripete piangendo le parole che l’infermiera le ha detto alla vigilia dell’intervento. «Ho 37 anni, quel fibroma dovevo toglierlo, mi causava emorragie tanto abbondanti da non poter nemmeno andare a lavorare. Sapevo che c’era l’emergenza Covid. Il 25 ottobre, però, finalmente è stato fissato l’intervento. Da settimane perdevo così tanto sangue da essere finita all’ospedale e la ginecologa aveva deciso per l’operazione. Invece la sera prima, mentre ero a letto per il dolore, è arrivata quella telefonata. Non riuscivo a crederci, allora ho afferrato il telefono e ho lanciato un videoappello su Facebook, non so cosa mi sia preso». In poche ore il video ha ricevuto più di 30.000 condivisioni, la sera stessa Valentina ha ricevuto la telefonata del primario dell’ospedale dove era in cura, l’operazione si è fatta.
«Dopo settimane passate a letto, con un’emorragia, la sera prima del ricovero mi hanno chiamato per dirmi che l’intervento non si faceva più»
La sua storia ricorda quella di altre donne e altri malati che in questi giorni di emergenza lanciano richieste d’aiuto per essere curati e ascoltati. Come Martina Luoni, la 26enne lombarda con un cancro e in lista di attesa per un’operazione, che ha mobilitato i social e in poche ore ha ricevuto offerte di cura da tutta Italia. «Come se fare rumore fosse il solo modo per ottenere il diritto alle cure» dice sconsolata Valentina che davanti a sé adesso vede una nuova montagna da scalare, perché l’esame istologico fatto dopo l’intervento le ha restituito la diagnosi di adenocarcinoma all’endometrio. «Il tumore è di grado 1, il meno aggressivo, ma i medici mi hanno già detto che dovrò asportare utero e ovaie. Un’isterectomia. Io ho solo 37 anni, un marito, una famiglia tutta da costruire e adesso ho anche tanti dubbi che mi accompagnano in queste giornate d’angoscia. Continuo a chiedermi che futuro mi aspetta».
La sanità risucchiata dall’emergenza Covid
Come lei se lo chiedono migliaia di italiani alle prese con una sanità risucchiata quasi ovunque dall’emergenza del virus e dove ogni giorno personale e posti letto vengono dirottati nei reparti Covid. A fine ottobre la Lombardia ha bloccato i ricoveri non urgenti negli ospedali territoriali, la Campania ha sospeso quelli programmati, il Veneto ha ridotto le attività rinviabili e il Lazio cerca rimedio con un’ordinanza che consente agli ospedali pubblici di appoggiarsi ai centri privati per interventi e ricoveri.
È il copione di marzo che si ripete ma adesso le conseguenze potrebbero essere ben più drammatiche. Secondo Nomisma, con la prima ondata 410.000 operazioni sono state rimandate per carenza di anestesisti e infermieri, tutti spostati nelle corsie dell’emergenza. «Quest’estate abbiamo recuperato solo un quarto dell’arretrato, ma ormai da più di un mese abbiamo ridotto le attività nelle Regioni rosse e arancioni» conferma Francesco Basile, presidente della Società italiana di chirurgia e direttore della Clinica chirurgica al policlinico San Marco di Catania. «Qui ci si limita alle operazioni più urgenti e i reparti di medicina sono stati accorpati per fare posto ai pazienti contagiati. Se, per fare un esempio concreto, da me arriva una persona con i calcoli, devo rimandarla a casa, sperando che il problema si risolva con la terapia».
Rispetto al 2019 nei primi 5 mesi del 2020 sono state fatte 2.099 diagnosi di tumore alseno in meno. E sono saltati 1,4 milioni di esami di screening
Al Tribunale per i diritti del malato arrivano segnalazioni da ogni parte d’Italia. «Una signora con precedenti in famiglia si è vista annullare l’esame di controllo a un nodulo sospetto al seno, un ragazzo con una grave malattia cronica ha dovuto rimandare la visita di controllo al 2021 e ci chiede aiuto perché si è aggravato e non sa dove andare» racconta Isabella Mori, responsabile del servizio tutela informazione di Cittadinanzattiva ripercorrendo con il pensiero le ultime storie che ha ascoltato. «Facciamo quello che possiamo, ma intanto i quasi 500 milioni stanziati ad agosto dal governo per tagliare le liste di attesa sono fermi, perché le Regioni non hanno consegnato i loro piani di smaltimento».
Quando la sanità continua a dare il massimo
Ma c’è anche una sanità che continua a dare il massimo, che non abbandona i suoi pazienti. «Si sono fermate le attività ordinarie, è vero. Ma da Nord a Sud le direzioni sanitarie stanno facendo di tutto per garantire sia le terapie salvavita sia gli approfondimenti sui casi sospetti, a costo di imporre al personale turni massacranti. Lavoriamo senza sosta per fornire almeno le prestazioni principali» rassicura Elisa Picardo, presidente della sede piemontese dell’Alleanza contro il tumore ovarico (Acto Piemonte) e ginecologa all’ospedale Sant’Anna di Torino: lei ogni giorno, insieme ai suoi colleghi, spiega ai pazienti che possono entrare in ospedale senza timori, che la sicurezza c’è, che i controlli non vanno rimandati: «Sono tanti ad avere paura di contagiarsi. Mi capita di dover telefonare a malati che rimandano gli accertamenti da settimane, anche persone che hanno una diagnosi di sospetto tumore».
È successo anche a Valentina, mesi fa. «Io faccio un check up completo ogni anno ma a primavera, quando è arrivato il lockdown, mi sono presa un po’ di tempo. Mi sono detta che era meglio aspettare che tutto fosse rientrato. Quando mi sono decisa era luglio ma a quel punto il primo accertamento è stato fissato a metà settembre, poi a fine ottobre. Attese e sottovalutazioni si sono accumulate, mentre io stavo sempre peggio. Adesso non perdo più tempo, so che non posso permettermi di rimandare neanche di un giorno. Adesso devo capire se ho alternative all’isterectomia. Ho prenotato privatamente una visita in un ospedale di eccellenza a Roma, poi potrò farmi curare lì in regime di sanità pubblica. Io non ho nessuna intenzione di arrendermi proprio ora».
LE COSE DA SAPERE
Devi fare un esame o un controllo? Ecco come muoverti
→ «Parla del tuo problema al medico e valuta con lui la situazione» consiglia Elisa Picardo, ginecologo ospedaliero. «Ogni ricetta ha una scala di priorità, da urgente a programmabile. Se lui lo ritiene, può inserire il codice U, per urgente o B, per le prestazioni da fare in tempi brevi. Asl e ospedali a quel punto devono assicurarti la prestazione».
→ «Indipendentemente dalla priorità indicata in ricetta, il Piano nazionale delle liste di attesa prevede che se l’azienda sanitaria non riesce a garantire la prestazione, o se le liste d’attesa sono bloccate, l’Asl deve prenotare a sue spese per il paziente un appuntamento in una struttura privata accreditata, oppure in regime di intramoenia» spiega Isabella Mori, responsabile del servizio tutela informazione di Cittadinanzattiva. «Se ti dicono che non c’è posto, chiedi al Cup di applicare questa opzione. Altrimenti invia un reclamo scritto alla direzione sanitaria».
→ Se l’azienda resta sorda puoi rivolgerti al Tribunale per i diritti del malato (cittadinanzattiva.it/faq/salute/2327-liste-di-attesa.html).