Dopo tre anni e mezzo è arrivato l’atteso riconoscimento: gli osteopati sono a tutti gli effetti professionisti in campo sanitario. A confermarlo è stato il ministro della Salute, Roberto Speranza, che parla di «un risultato di valore per quei professionisti, ora a pieno titolo sanitari, e per le persone da loro assistite». In Italia si stima siano 11mila gli osteopati e almeno 10 milioni le persone che vi si sono rivolte almeno una volta nella vita, pari a circa 1 italiano su 5. In genere ci si affida a un osteopata per risolvere mal di schiena e di collo, problemi posturali, dolori a carico degli arti, sia in seguito allo sport, sia perché legati al passare degli anni. Spesso a consigliare di rivolgersi a queste figure sono i medici di famiglia, come alternativa al fisioterapista o al fisiatra. In realtà l’intervento dell’osteopata è differente, spesso preventivo e non di semplice cura, ma il problema finora è che mancava una regolamentazione. L’intervento del Governo fa ora chiarezza.
Cosa cambia: stop ai “santoni”
Finora gli osteopati hanno praticato la professione in una condizione di limbo dopo che nel 2018, con la legge n.3, l’osteopatia era stata definita come professione sanitaria. Si attendeva, però, il completamento dell’iter burocratico, che ora è arrivato. In pratica «non c’erano ancora i contenuti. Mancava sostanzialmente il primo passo fondamentale, quello relativo al profilo professionale, che stabilisce cosa fanno gli osteopati, chi sono e di cosa si occupano. Questo decreto fa chiarezza» commenta Paola Sciomachen, presidente del Registro osteopati d’Italia (ROI), una delle prime e più rappresentative associazioni per la professione. Molti pazienti, infatti, erano frenati dal ricorrere all’osteopata: c’era chi temeva di affidarsi a “santoni” più che a sanitari veri e propri: «È vero, ma oggi il decreto non solo dà la giusta dignità agli osteopati, ma riconosce che non si tratta di “stregoneria”. È una pratica nata negli Stati Uniti nel secolo scorso come professione medica e, anche se è una branca giovane, esiste in tutto il mondo. È in crescita ovunque e anche in Italia, dove è aumentata l’importanza anche per trattare problemi relativi al post Covid» dice Sciomachen.
Osteopatia utile nel Long Covid
Il riconoscimento del valore sanitario della pratica arriva in un momento delicato, segnato dalla pandemia e post pandemia Covid. Una coincidenza, ma non del tutto: «Credo che anche il ruolo nella gestione della cronicità e di questioni attuali come quella del cosiddetto Long Covid possa essere significativo. L’osteopatia ha un approccio alla persona più che al sintomo, non si occupa di curare la patologia ma cura gli effetti, le concause, gli esiti delle malattie e le comorbidità legate a queste» chiarisce la presidente del ROI, che riunisce 4mila osteopati italiani. «È una medicina manuale che mira all’equilibrio di tutte le componenti dell’organismo e al potenziamento dello stato di salute. L’indicazione per in una situazione come quella del Long Covid c’è». Ma che differenza c’è rispetto ad altri interventi, come quelli di fisioterapia?
Osteopatia e fisioterapia: le differenze
«Rispetto alla fisioterapia, con la quale a volte si fa confusione, va detto che entrambe sono medicine manuali, ma l’osteopatia si specializza soprattutto nella prevenzione, mentre la fisioterapia interviene come cura. Il nuovo decreto, infatti, ci colloca proprio nell’area della prevenzione, a supporto del Servizio Sanitario nazionale. In pratica noi non siamo riabilitatori, non ci occupiamo della singola patologia o sintomo, ma lavoriamo principalmente sul dolore, sugli effetti collaterali e le comorbidità delle patologie croniche. Ci concentriamo sulla prevenzione di possibili peggioramenti di infiammazioni e dolore: in una parola, lavoriamo su uno spettro più ampio, considerando la totalità della persona e del suo organismo, e siamo molto presenti in tutte le fasce d’età, compresa quella pediatrica». Gli osteopati, ad esempio, possono risolvere alcuni problemi frequenti nei neonati, come reflusso, difficoltà nel deglutire o nell’attaccarsi al seno, coliche intestinali, stipsi (stitichezza), crampi, disfunzioni a livello immunitario agendo sulla manipolazione di alcuni nervi che possono essere rimasti compressi alla nascita, nella fase del passaggio nel canale del parto. «L’osteopata cerca di individuare cosa ha ridotto la funzionalità di un organo o della mobilità, come le posture scorrette, senza prevedere singoli esercizi come può inveca accadere a un fisioterapista che intervenga in un riabilitazione specifica, per esempio post incidente» spiega l’esperta.
Cosa manca ancora?
Se il decreto rappresenta un grosso passo avanti, non tutto l’iter è completato: «I passi successivi, gli altri decreti attuativi, saranno relativi alla definizione del percorso universitario di laurea in osteopatia. Ad oggi, infatti, gli osteopati sono formati secondo linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e norme europee, ma esclusivamente da centri privati. L’obiettivo è arrivare a un percorso di formazione universitaria che preveda la conoscenza delle scienze mediche di base a cui si uniscono quelle specifiche relative alla manualità» aggiunge la presidente del ROI. «In questo modo potremo aumentare anche il numero di ricerche scientifiche sull’osteopatia, che oggi non possono essere condotte presso le università o in ambito clinico ospedaliero» conclude Sciomachen.