Prevenzione delle fratture da fragilità ossea: è questo l’obiettivo degli specialisti, in vista dell’aumento dei casi di osteoporosi. Dati alla mano, infatti, è atteso un picco del 25% del numero di chi soffre di questa malattia nei prossimi 20 anni.
Per questo c’è una grande attività nel mondo della ricerca. Con risultati già concreti, che vanno da un modo diverso di utilizzare i farmaci già disponibili a un medicinale innovativo. E, ancora, una super Moc per una diagnosi mirata e, in prospettiva, un’apparecchiatura per i casi dubbi.
Movimento e tonificazione anche in menopausa
Insomma, per l’osteoporosi si prospetta un futuro di cambiamenti importanti che fanno ben sperare. «L’obiettivo da sempre è quello di riuscire a diagnosticarla quando non ci sono ancora segni visibili della malattia e ribaltarne il destino» spiega Nicola Napoli, ricercatore della divisione di endocrinologia del Policlinico dell’università Campus Bio- Medico di Roma. «In parte è già possibile. Oggi sappiamo che il movimento ha un ruolo positivo sull’osso anche nella donna dopo la menopausa: a differenza di una credenza comune, le ricerche dimostrano un incremento fino al 2% della massa ossea in un anno. Non solo. C’è un’attività scientifica sempre più importante rivolta al ruolo dei muscoli. Potenziarne la resistenza con esercizi personalizzati ad hoc crea uno scudo protettivo ed elastico che salva la salute dell’osso».
1. I principi attivi da usare in modo diverso
Oggi la cura per tenere lontano il rischio di frattura, oppure per evitarne una seconda, non ha più nulla a che vedere con quella di un tempo. «Abbiamo a disposizione diverse categorie di principi attivi a tutto vantaggio della personalizzazione della terapia» sottolinea il professor Napoli. «Hanno azioni differenti e questo ci permette di utilizzarli alternandoli, a vantaggio della salute dell’osso e del benessere generale. Ci sono poi studi in corso che stanno dimostrando la possibilità di impostare una terapia a lungo termine come oggi usiamo fare per altre malattie croniche, per esempio il diabete o l’ipertensione».
2. Il nuovo farmaco
C’è anche molta attesa per l’arrivo di un farmaco della famiglia degli anticorpi monoclonali. Il principio attivo si chiama Romosozumab e ha un’azione diversa da tutti gli altri. Riesce infatti a bloccare la sclerostina, un ormone che inibisce la formazione di nuovo osso, che riprende in modo naturale a essere costruito e, in più, ha la particolarità di essere di buona qualità, anche nel caso degli anziani. «Risultati così importanti non si sono mai visti negli altri medicinali anti-osteoporosi» sottolinea Nicola Napoli. «E questo già al termine del primo anno di terapia». Il farmaco è appena stato approvato negli Stati Uniti e probabilmente entro fine anno riceverà il via libera in Europa.
3. Il nuovo apparecchio per la diagnosi
I cambiamenti riguardano anche la diagnosi. L’apparecchiatura di ultima generazione si chiama Dexa-Moc, acronimo di densitometria ossea ed è più precisa rispetto alla tradizionale Moc. Alcuni lavori scientifici avevano però sollevato il dubbio di un rischio elevato di errori durante l’esecuzione dell’esame. Non è così. I problemi esistono se la paziente non viene posizionata bene sul lettino. Per questo negli States oggi chi la esegue deve avere un patentino. Da noi è bene rivolgersi a un centro Siommms (Società italiana dell’osteoporosi, metabolismo minerale e malattie dello scheletro). Gli studi dicono che la Dexa_Moc può rilevare il rischio che la malattia si manifesti in un arco di tempo pari a 25 anni. Manca però al momento un esame che venga in aiuto nei casi dubbi.
Una soluzione comunque c’é. «Con una particolare Tac ad alta definizione abbiamo visto che si può misurare il grado di porosità del tessuto osseo che compone le ossa lunghe come il femore e l’omero» chiarisce il professor Napoli. «Servirà sicuramente per una diagnosi più precisa e precoce nel caso di alto rischio, quando la Moc lascia dei dubbi. E anche per verificare i benefici dei farmaci in corso di trattamento». Negli Stati Uniti e in Europa questa Tac viene già utilizzata nell’ambito degli studi scientifici.
Ricordatevi la vitamina D!
Sei over 50 su 10 hanno una carenza di vitamina D; dopo i 70 anni diventano otto su dieci e dopo gli 80 il problema riguarda tutte le donne. E non va sottovalutato. Perché la vitamina D aiuta il calcio introdotto con gli alimenti a fissarsi sulle ossa e si assume soprattutto attraverso la luce solare, esponendo viso, polso e mani per mezz’ora al giorno. «È una sostanza che ha un ruolo cardine per la prevenzione e per la cura della malattia» sottolinea il professor Napoli. «Oggi sappiamo che andrebbe presa insieme al farmaco antiosteoporosi in modo da potenziarne l’efficacia. È poi fortemente consigliata alle over 50, perché a partire da questa età l’organismo comincia a sintetizzarla con lentezza». Niente fai-da-te, però. Prima di iniziare la cura è bene sottoporsi all’analisi per misurarne il livello nel sangue. E il farmaco va prescritto dal medico che valuta la dose giusta in base al deficit e all’età.