Quando ci incontriamo via chat, in America è l’alba. Eppure Bina Venkataraman mi saluta con entusiasmo e con una frase che riassume bene la filosofia di una delle intellettuali più influenti negli States: «Ho già bevuto un caffè bollente e tanto non rifaccio mai il letto: bisogna occuparsi solo delle cose necessarie per stare bene».

Americana di origini indiane, studi di Political science nelle migliori università, a 34 anni Bina Venkataraman diventa la consulente di Barack Obama per il climate change (vedi la bio nella pagina seguente). «Mi occupo di ambiente da sempre: ho lanciato la prima raccolta firme al liceo contro le trivellazioni petrolifere nel mio parco del cuore, nell’Ohio. Quando ho conosciuto gli scienziati che Barack aveva coinvolto per studiare il cambiamento climatico, mi sono unita a loro».

E oggi, a 42 anni, Bina Venkataraman scrive e gira il mondo per portare ovunque le sue idee. Ha gli occhi che sorridono e gesticola parecchio quando racconta del suo saggio Il telescopio dell’ottimismo: pensare al futuro in un’epoca spericolata (per ora solo in inglese) e della sua partecipazione al National Geographic Festival delle Scienze, online dal 23 al 29 novembre, dove farà un intervento proprio su ottimismo e scienza.

Parlare di pensiero positivo in tempi di pandemia sembra difficile: come riesce a convincere le persone? «Ottimismo non significa credere che il futuro sarà per forza più brillante, ma che ci saranno dei cambiamenti. E la scienza è uno degli strumenti più potenti che l’uomo ha per cambiare in meglio: pensiamo, per esempio, alle medicine per curare le malattie più gravi. Ecco, il mio è un approccio scientifico: l’ottimismo non è una favola, una credenza, ma una spinta razionale e studiata ad agire per migliorare».

Bisogna pensare da scienziati per guardare con fiducia al futuro e per sopravvivere a questo caotico presente? «Possiamo rubare il loro rigore, la voglia di cercare la verità, il metodo basato sulla verifica delle prove e la tensione alla realizzazione di un obiettivo. Io poi ci aggiungerei un pizzico di poesia. Il mio saggio, per esempio, è nato da un episodio molto dolce. Qualche anno fa ho ricevuto da mia nonna uno splendido cimelio di famiglia: il dilruba, un antico strumento musicale indiano, che apparteneva al nonno. Da quel momento, ho cambiato il modo di pensare a me stessa. Non sono solo Bina, una donna che vive nell’America del 21esimo secolo. Sarò anche l’antenata di tante altre persone, a cui devo trasmettere qualcosa: è il telescopio dell’ottimismo, ovvero un modo diverso di guardare il mondo e, soprattutto, il mio impegno per renderlo più bello».

L’ottimismo, quindi, si può imparare: ci dia qualche lezione. «Bisogna usare l’immaginazione, la capacità di pensare il domani distante dal presente o da come lo ipotizziamo. Vi propongo 3 esercizi. Il primo si fa una volta al mese ed è scrivere una lettera al se stesso del futuro da aprire tra 25 anni. Mettete su carta come vorreste essere, chi vedete al vostro fianco e cosa è imprescindibile per il benessere. Lo faccio anch’io: mese dopo mese aggiungo dettagli, esploro nuovi ambiti ma, soprattutto, li confronto con il presente e mi appunto le scelte da compiere per proiettarmi verso questo futuro. Il secondo esercizio è misurare successi e progressi senza basarsi sull’immediato: non chiedetevi, per esempio, se avete mandato tutte le mail della settimana, ma se avete fatto qualcosa che, professionalmente, ricorderete nei prossimi anni. Fatelo ogni giorno per uscire dalla logica delle ricompense immediate, che si bruciano subito e ci tolgono energie per il domani. Infine, ecco l’esercizio più tosto».

Qual è? «Si chiama “senno di poi prospettico”. Nel momento in cui dovete prendere una decisione importante sul futuro, chiedetevi quali variabili potete controllare e quali no, e mettetele per iscritto. Prendiamo il caso di un cambio di lavoro: dipende da voi contrattare sullo stipendio o su un altro aspetto a cui tenete, per esempio un pomeriggio libero alla settimana; non dipende da voi un’eventuale chiusura dell’azienda per la crisi dovuta alla pandemia. Fare questo ragionamento insegna che i fattori esterni ci sono, e contano, ma sono “inaffrontabili” dalla singola persona: allora, meglio concentrarci su ciò che possiamo cambiare. Così non ci sentiremo sopraffatti».

Poi c’è una prova finale, giusto? «Sì, lasciare un regalo a chi verrà dopo di noi. È un progetto che implica impegno. Come piantare con i vicini degli alberi che diventeranno un’area verde oppure occuparsi della biblioteca di quartiere. Io tramanderò il dilruba della nonna e alcuni libri sulla storia delle nostre radici. È un modo per rendere la nostra esistenza immortale».

Le sue lezioni valgono per la vita quotidiana quanto per le grandi questioni pubbliche? «Certo, le faccio un esempio. Quando lavoravo con Obama, ho seguito anche l’epidemia di Ebola in Africa: posso dire che alcuni Stati hanno fatto tesoro di quell’esperienza e oggi, pur con poche risorse, stanno affrontando bene il Covid perché avevano imparato misure semplici come il distanziamento e l’igiene. Tutti, cittadini e politici, abbiamo il dovere di compiere ogni giorno le nostre piccole azioni di ottimismo».

Puoi ascoltare l’autrice al National Geographic Festival

Bina Ventakaraman è nata nel 1979 in Ohio, negli Stati Uniti. Ha studiato Relazioni internazionali e Ambiente alla Brown University e ha un master in Politiche pubbliche alla Harvard Kennedy School. Ha lavorato alla Casa Bianca, è stata direttrice delle Global policy initiatives a Harvard e al Massachusetts institute of technology (MIT). Oggi è saggista ed editorialista al quotidiano The Boston Globe.

Negli Usa ha pubblicato Il telescopio dell’ottimismo: pensare al futuro in un’epoca spericolata. Il 29 novembre parlerà di scienza e ottimismo al National Geographic Festival: puoi seguirla su www.auditorium.com/ngfestivaldellescienze.