Niente più pane precotto venduto sfuso, come fosse fresco di forno. A dire stop alla pratica, molto diffusa in alcune panetterie all’interno dei centri commerciali, è una sentenza dalla Cassazione, che ha imposto di evidenziare in etichetta la dicitura che permette di distinguere le pagnotte con lavorazioni differenti. Ora l’attenzione dei panificatori si sposta anche sulla provenienza di questi prodotti.

Il pane precotto deve essere confezionato

A fare chiarezza, a beneficio dei consumatori, è una sentenza della Corte di Cassazione (n. 14.712) che mette fine a una battaglia in corso da anni, vietando di fatto la vendita del pane precotto (o surgelato) che non sia confezionato e dunque facilmente riconoscibile. Accade spesso, infatti, che soprattutto nei supermercati si possa acquistare pane sfuso al banco panetteria, senza sapere però che quello che sembra pane fresco in realtà non lo è.

Non tutti i punti vendita della grande distribuzione, infatti, hanno un forno interno con la possibilità di impastare e appunto cuocere sul posto il pane. Per questo si avvalgono di ditte esterne che forniscono loro prodotti parzialmente precotti e congelati, la cui cottura è ultimata nel forno del punto vendita. Il problema sorge, però, se non viene specificato in etichetta. Da qui il contenzioso. Una grande catena di distribuzione aveva presentato ricorso contro l’obbligo di confezionamento ed etichettatura, ritenendolo al limite della «libertà d’impresa» e motivato solo dall’esigenza di non fare concorrenza sleale nei confronti dei panificatori. Per i supremi giudici, invece, le norme in materia sono giustificate dall’utilità sociale (art. 41 della Costituzione).

Che differenza c’è tra pane fresco e precotto?

Per «pane fresco» si intende quello «preparato secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento o surgelazione, ad eccezione del rallentamento del processo di lievitazione, privo di additivi conservanti e di altri trattamenti aventi effetto conservante». L’intervallo di tempo che intercorre fra l’inizio della lavorazione e la vendita non deve superare le 72 ore, come chiariva un decreto del ministero per lo Sviluppo economico del 1° ottobre del 2018. Tutto il pane che ha caratteristiche differenti, dunque quello precotto, surgelato o «a durabilità prolungata» come pan carré, pane da hamburger o hot dog, ecc., deve invece essere venduto in spazi differenti.

È “panificio” solo l’impresa che ha il forno per fare il pane

Secondo la legge in vigore anche la definizione di panificio è soggetta a criteri specifici: può essere definita così solo «l’impresa che dispone di impianti di produzione di pane ed eventualmente altri prodotti da forno e assimilati o affini, e svolge l’intero ciclo di produzione dalla lavorazione delle materie prime alla cottura finale». «La questione era sorta già nel 2014, ora si mette la parola fine dopo il ricorso della Grande Distribuzione, ma per noi resta aperta la battaglia per ottenere una legge nazionale uniforme che riguardi le etichette e i paesi d’origine del pane precotto» spiega Davide Trombini, presidente di Assopanificatori-Confesercenti.

Il pane dei supermercati arriva dall’estero

«Molto proviene dall’estero, in particolare da Romania, Bulgaria e altri stati dell’est europeo che hanno costi di produzione inferiori e normative differenti. In Italia i controlli in tema di sicurezza alimentare e qualità sono molto rigorosi ed efficaci. Ci sembra giusto che il consumatore quantomeno conosca il tipo di prodotto che sta acquistando e consumando. Sappiamo che per esigenze di tempo e comodità, in molti si rivolgono alla grande distribuzione, ma deve essere chiaro che ci sono differenze, dalla produzione alla conservazione» spiega Trombini.

Il pane precotto non si può surgelare

La sentenza della Cassazione riporta l’attenzione anche
sulle caratteristiche del pane fresco o precotto, in particolare sulla
possibilità di congelarlo. Alcuni supermercati riportano sui sacchetti la
dicitura «Si consiglia di
non congelare» per
i prodotti ottenuti “da pane parzialmente cotto e surgelato».

«Alcuni prodotti confezionati sono addizionati in modo da evitare la formazione di muffe e il proliferare di batteri, come accade per panettoni e colombe non artigianali, ma questo non impedisce di congelarli. Se invece si tratta di pane precotto, non dovrebbe mai essere messo in freezer, esattamente come non si dovrebbe ricongelare una pizza surgelata» spiega il presidente di Assopanificatori.

Come deve essere il “pane buono”?

«I gusti sono sempre discutibili. Sicuramente anche i prodotti industriali sono cambiati e stanno cambiando, ad esempio con un maggior ricorso anche al lievito madre che prima era utilizzato solo a livello artigianale. Nei prodotti di grande distribuzione ci possono essere più additivi, magari per rendere la crosta più croccante o per evitare lo sbriciolamento, ma la vera differenza sta nei tempi e nei profumi. Il pane fresco di un forno segue un unico ciclo dalla produzione dell’impasto alla cottura, che avviene entro le 24/48 ore. Appena uscito da un forno poi avrà un profumo unico perché realizzato proprio in quel posto, mentre quello industriale subisce processi standardizzati. L’ultimazione della cottura di un pane precotto, infine, sarà necessariamente breve e la differenza si noterà non appena trascorso poco tempo da quando sarà scaldato, perché tenderà ad ammuffire o indurire prima» conclude Trombini.