Bisognava aspettare il terzo capitolo della fortunata saga di Kung Fu Panda (al cinema in questi giorni) perché il goffo e tenero Po potesse ritrovare  finalmente il suo vero padre, Li Shan, e tornare con lui al paese natale. Sembra  quasi che i creativi della DreamWorks abbiano intercettato un fenomeno di cui parlano gli esperti: dopo anni di maschi in fuga e di “mammi”, i padri stanno, pian piano, tornando.

CHE COSA È CAMBIATO
«È quasi una rivoluzione, se consideriamo che la figura del papà educatore nel  vero senso della parola, in realtà non è mai esistita» esordisce Daniele Novara, pedagogista, consulente familiare e presidente del Centro psicopedagogico  (cppp.it). «Si è passati dal padre-padrone che comandava sui figli al cosiddetto “papà peluche” morbido, materno e accogliente, che ne rappresentava l’antitesi  grottesca. Adesso, finalmente, i giovani padri hanno capito che scimmiottare le  loro compagne è un errore che ne mortifica il ruolo. Così si preparano, leggono  e si mettono alla prova per proporre una personale identità educativa».

Ci  vorranno ancora un paio di generazioni perché il cambiamento si compia, ma la  strada è aperta. «È differente il modo in cui lui, rispetto alla mamma, tiene il  piccolo, gli parla e lo stimola. È diversa la relazione di sguardi, diverso il  gioco fisico» spiega Paolo Ragusa, counselor e formatore. «Riuscire in questo  ruolo richiede alcune competenze di comunicazione e di gestione dei conflitti. E  la capacità di avere una visione sul futuro: è lo sguardo del padre, proiettato  in avanti, che permette, al momento giusto, il distacco dei figli».

E le mamme? Devono imparare a farsi da parte. «Uno dei problemi delle madri italiane è  l’implicita mancanza di fiducia nei confronti dei maschi» aggiunge Novara.  «Alcune mie pazienti solo dopo due anni di consulenza si presentano con il  marito. Perché? Perché, sotto sotto, non hanno una grande considerazione delle  capacità educative degli uomini e se ne addossano tutto il peso. Finché i figli sono piccoli, non è un problema. Ma, nell’adolescenza, quando il padre deve  diventare il “front office” educativo, questo vuoto si sente in modo  drammatico». E i ragazzi rischiano seri problemi emotivi, relazionali e di  identità. Con l’aiuto degli esperti, vediamo allora quali sono le quattro tipologie paterne più diffuse.

1) L’onnisciente impara ad ascoltare
Da non confondere con il padre autoritario e anaffettivo degli anni Sessanta.  Questo è il papà presente ma che non ha mai dubbi: la sua principale occupazione  consiste nel dire a tutti, specie ai figli, cosa bisogna fare, quello che è  giusto e sbagliato, cosa conta nella vita. Giudicante, deciso, spesso anche  affermato sul lavoro, colto, sempre informato, parte dal presupposto di essere  l’unico a sapere cosa serve davvero a suo figlio.
IL CONSIGLIO Un uomo così è  più interessato a se stesso e a mantenere una posizione di dominio. Così fallisce nell’obiettivo più  importante: costruire una vera relazione con i figli, che non sia cioè una  versione casalinga di quella tra docente-discente. Ma cambiare registro è  facile: basta fare un passo indietro e cominciare ad ascoltare di più e parlare  meno. In questo modo riuscirà a dare quello che serve davvero ai suoi ragazzi.

2) Il competitivo cerca collaborazione
Più accudente e affettuoso della tipologia  precedente, anche questo padre ama sentirsi sempre al centro della scena. Al  punto da creare alleanze con i figli per sottolineare eventuali défaillance,  fragilità e difficoltà materne. L’errore? Nel momento stesso in cui cerca di  indebolire la compagna si mette fuori gioco: rifornire i figli di due nutrienti  pressoché simili, cioè la cura e la protezione, cercando di scalzare la madre,  lo rende troppo servizievole e, quindi, “inutilizzabile” come padre.
IL CONSIGLIO In questo caso potrebbe essere utile un percorso con un consulente:  farà chiarezza su quello che c’è dietro al suo bisogno di primeggiare. Solo così  potrà trovare il suo stile educativo in collaborazione (e non più in  contrapposizione) con la compagna.

3) L’amicone ritrova il suo ruolo
«Andiamo a prendere una birra e parliamo un po’  insieme» sembra una frase molto bella, da telefilm americano. E, invece, è un  errore. Perché mette un padre e il figlio adolescente sullo stesso piano,  stabilisce un rapporto alla pari che, oltre a essere una finzione, per il  ragazzo è un peso ingombrante: è come se suo padre cercasse di occupare un posto  che non gli compete. Un comportamento che lo indebolisce come educatore.
IL CONSIGLIO Per poter spiccare il volo l’adolescente ha bisogno di trovare nel  padre una sponda, una superficie resistente. Stop agli atteggiamenti troppo  camerateschi, quindi. Sì alla negoziazione di uscite, vacanze, regali.  Calibrando di volta in volta divieti e permessi in base al principio per cui  ogni concessione è anche una assunzione di responsabilità. È questo il compito  cui un padre è chiamato via via che il figlio cresce.

4) L’ultimo arrivato sta in panchina
Un tempo era un fenomeno di nicchia. Oggi,  considerato che il 70 per cento delle separazioni riguarda coppie con figli, è  quasi la normalità. Ma come deve comportarsi il nuovo compagno della madre? Fino  a che punto ha voce in capitolo sull’educazione dei figli?
IL CONSIGLIO Deve  lasciare che la mamma sia l’ago della bilancia: è a lei che spetta il compito di  mantenere la chiarezza dei diversi ruoli. Basta questo, insieme all’intelligenza  di capire quando esserci e quando defilarsi, perché i ragazzi possano crescere  legati al loro padre. E, allo stesso tempo, con la certezza di poter contare su  una risorsa in più: il compagno della mamma.