Il paracetamolo è uno dei farmaci più utilizzati in generale e, anche in gravidanza, è stato considerato fino ad ora l’unico da assumere con una relativa tranquillità, in caso di necessità. Ma di recente sono aumentati gli inviti alla cautela. L’ultimo arriva da uno studio danese, coordinato da David Kristensen dell’Università di Copenaghen e pubblicato sulla rivista Nature Reviews Endocrinology. Dalla ricerca emergono possibili effetti negativi per il feto.
Paracetamolo: occorre cautela in gravidanza
Da un lato i medici confermano che nel primo trimestre di gravidanza è bene evitare di assumere il paracetamolo come qualsiasi altro farmaco; dall’altro spiegano che anche nel secondo e terzo trimestre bisognerebbe ricorrervi solo in casi di vera necessità e sotto controllo medico perché, potrebbe avere effetti negativi sul feto. «Non si tratta di un divieto, ma sarebbe meglio evitarlo. Va sempre tenuto presente che durante la fase di embriogenesi, cioè i primi tre mesi, non andrebbe assunto nulla, mentre nel secondo e terzo trimestre qualsiasi farmaco – e anche il paracetamolo – andrebbe limitato al più breve tempo possibile. Insomma, una compressa per il mal di testa non crea problemi al feto, ma una cura di 10 giorni potrebbe anche farlo» spiega il professor Fabio Mosca, presidente della Società di Neonatologia.
Quali possibili effetti per il feto
La gamma di possibili interazioni del paracetamolo è molto ampia: secondo quanto emerso dallo studio danese, potrebbero sorgere problemi di sviluppo neurologico, urogenitale e riproduttivo. «Ad aprile scorso un altro lavoro, condotto in sei Paesi europei, aveva mostrato un legame tra l’assunzione del paracetamolo, i disturbi dello spettro autistico, il deficit dell’attenzione e l’iperattività. In particolare aveva evidenziato un maggiore rischio di andare incontro a queste due patologie, rispettivamente del 19% (per lo spettro autistico) e del 21% (deficit dell’attenzione e iperattività). Si tratta di studi importanti, ma anche se con alcuni limiti» avverte il neonatologo.
I limiti degli studi
È necessario, dunque, approfondire gli studi, sia per l’importanza del periodo della gravidanza, sia perché il 45/50% delle donne in attesa di un figlio assume paracetamolo. Ma non mancano limiti nel metodo di ricerca utilizzato: si tratta, infatti, di metanalisi, cioè di analisi condotte a posteriori. Nel caso di Copenaghen, sono state prese in considerazione tutte le ricerche scientifiche condotte dal 1995 al 2020 in vivo e in vitro (quindi sia su animali che in laboratorio), ma anche su donne e bambini. «Un limite di questi studi è che sono condotti in modo retrospettivo. Siccome occorre valutare possibili effetti negativi di un farmaco nell’arco di anni, in genere si parte dai casi di bambini con disturbi di vario tipo e si cerca di risalire alle potenziali cause, per esempio chiedendo alle donne se abbiano fatto uso di specifici farmaci in gravidanza. È chiaro che questo metodo non esclude il possibile effetto di altri fattori, oppure che la causa del disturbo possa essere il problema stesso per il quale si è fatto ricorso al farmaco. Per esempio, proprio una febbre alta o una malattia cronica con dolore cronico. È difficile, quindi, avere certezze» dice Mosca.
Attenzione in generale a tutti gli antidolorifici
Poiché può capitare in gravidanza di avere bisogno di antidolorifici sorge allora l’interrogativo: quale usare? Purtroppo anche i farmaci cosiddetti Fans, cioè i più comuni antipiretici e antinfiammatori (quelli che di solito si prendono per mal di testa o dolori mestruali), potrebbero avere conseguenze sul feto, questa volta a livello cardiaco: «I Fans agiscono inibendo la produzione di alcune prostaclandine. Queste, però, servono al feto per tenere aperto il dotto arterioso di Botallo, che è un canale che collega aorta e arteria polmonare, che nella vita fetale deve sempre rimanere aperto per garantire una corretta circolazione. Altri studi su animali hanno confermato potenziali effetti sullo sviluppo del sistema endocrino» spiega Mosca, che è anche direttore di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico di Milano. Insomma, prima di assumere anche questi medicinali in gravidanza è meglio consultarsi con il medico.
Occorre più medicina di genere
Il “caso paracetamolo” fa emergere ancora di più l’esigenza di una medicina di genere, che tenga conto delle differenze e delle peculiarità delle donne rispetto agli uomini, dal momento che la maggior parte dei farmaci è testata su un campione maschile. «È sicuramente vero, soprattutto per la gravidanza, che è un periodo particolare della vita della donna e che caratterizza proprio il genere femminile, durante il quale è richiesta un’attenzione specifica. Alcuni risultati si sono già ottenuti, per esempio nella medicina durante l’allattamento, ma per la fase di gestazione resta ancora molto da fare» conclude l’esperto.