Per un italiano e un’italiana su cinque (il 19.1 per cento) le donne dovrebbero restare a casa, rinunciando al lavoro e alla carriera, per prendersi cura della famiglia. Il dato è piuttosto omogeneo a nord (20,1) e a sud (19,5), con una flessione al centro (16,6 per cento). Cresce con l’aumentare dell’età (così la pensa il 28,5 per cento degli ultrasessantacinquenni e delle coetanee) e diminuisce tra chi ha titoli di studio più elevati (8,6 per cento). Le intervistate condividono le idee e i giudizi degli intervistati (19.1 per cento per le prime, 19,2 per cento per i secondi).
Italia, dicembre 2019. Ma sembra un secolo fa. O almeno questo è lo spaccato che esce dal sondaggio commissionato a Tecné dall’agenzia di stampa Dire, sul tema “Donne e media: la sottile linea rossa della discriminazione di genere”, e condotto su un campione di 2mila residenti, maschi e femmine dai 18 anni in su. Le risposte raccolte(la domanda esatta era: «Condivide l’idea che le donne dovrebbero stare a casa per potersi prendere cura della famiglia?») confermano un senso diffuso di discriminazione e un’affermazione ancora inadeguata delle pari opportunità. Stando alla ricerca, per molti uomini e pure per molte donne il modello femminile ottimale resta quello dell’angelo del focolare, diviso tra pannolini sporchi da cambiare e bucato da stendere.
La sociologa: «È in atto una spinta reazionaria»
Anna Simone, sociologa e docente all’università di Roma 3, commenta: «Il risultato del sondaggio non mi stupisce. Qualsiasi spinta di libertà genera una controspinta, una reazione. Lo vediamo anche nei dati sui crimini violenti contro le donne. Gli uomini picchiano e uccidono le compagne e le ex che li lasciano o fanno scelte di autonomia ed emancipazione. C’è ancora una asimmetria che non viene compensata, non dagli uomini. Le donne che la pensano come i partner – osserva – lo fanno per paura di non avere più relazioni. I maschi mettono in atto una sorta di difesa rispetto ai cambiamenti. Ma invece è proprio in direzione contraria che si dovrebbe andare; cambiare e continuare a puntare sulla libertà femminile. Occorre anche cominciare a pensare che esiste una “questione maschile”, cioè la crisi dell’uomo, da cui arriva la spinta reazionaria alla quale accennavo».
La sindacalista: «Basta machismo»
Susanna Camusso, già segretaria nazionale della Cgil e ora responsabile delle Politiche di genere della sigla sindacale, concorda: «Purtroppo è un dato che non stupisce. Nel nostro Paese, rimasto indietro rispetto ad altre parti del mondo, c’è ancora questo gigantesco tema culturale. Le battaglie delle donne sono cominciate in ritardo e lo stiamo scontando. Ma il problema di base è che gli uomini non fanno i conti con loro stessi. Quello che molti ancora pensano è frutto di una infinita campagna individualista e della incapacità di vedere una società coesa. Non è con l’uso della forza, con il machismo, che si cambiamo le cose. Serve un salto in avanti. E noi donne dobbiamo uscire dalla logica che sia colpa nostra e dei nostri comportamenti. Smettiamola di fare le vittime – sollecita – anche se vittime ci fanno sentire».
La politica: «Riconoscere intelligenza e competenze»
La sottosegretaria alla Salute Sandra Zampa, giornalista passata alla politica, dice la sua a margine della presentazione del sondaggio in Senato e su Facebook: «Bisogna riconoscere e valorizzare la competenza e l’intelligenza delle donne in tutti i campi: dalla politica alla scienza, dall’economia al sociale, dalla matematica al diritto, dalla letteratura alla ricerca, dalle istituzioni, locali, nazionali, internazionali, ai vertici dell’informazione che conta… Insieme possiamo prendere l’impegno di fare, ognuna nel nostro campo, tutto quello che serve perché la strada da seguire non sia impossibile da seguire… Grazie alle scienziate, alle economiste, alle politiche, alle avvocate, alle scrittrici, alle sindacaliste, alle docenti – aggiunge – si dimostra che esiste un punto di vista diverso con il quale si guarda la realtà, si cercano soluzioni e si praticano vie alternative».
Donne e lavoro di cura
Le donne – certificano gli analisti di Tecné – lavorano molto più degli uomini , se si somma all’impegno professionale anche la cura dei figli e dell’abitazione, che occupa 6 ore e 15 minuti al giorno. La condivisione alla pari di compiti e oneri coinvolge solo l’11,2 del campione. Nell’81,9 per cento dei casi sono le madri a farsi carico delle incombenze domestiche e familiari, mentre il padre “casa e famiglia” rappresenta un risicato 6,8 per cento. La situazione rimane pesantemente sbilanciata anche prendendo in considerazione le coppie con figli in cui entrambi i genitori sono lavoratori full time: Il tempo dedicato alle attività di casa è per il 65,1 per cento a carico delle donne e solo per il 34,9 per cento sulle spalle dagli uomini.
Il gender gap negli stipendi
Dal punto di vista del “gender pay gap” – il divario retributivo di genere – a parità di ruolo le donne guadagnano meno a parere del 39,7 per cento degli intervistati e delle intervistate, convinzione radicata soprattutto nel campione femminile (54,6 per cento). Per il 56,0 per cento, invece, le lavoratrici hanno più o meno lo stesso guadagno dei colleghi. Questa opinione è diffusa, ancora una volta, in particolare tra gli uomini (69,9 per cento).
Le figure femminili nei media
Le donne, secondo il 31,8 per cento del campione, continuano ad essere meno valorizzate nel mondo dell’informazione, nonostante il 68,0 per cento delle intervistate e degli intervistati ritenga che abbiano una capacità specifica e una lettura interpretativa della realtà diversa dagli uomini. Tra i maschi (76,1 per cento) domina l’idea che le donne siano presenti al pari degli uomini nei dibatti in tv e sui giornali, con lo stesso spazio e lo stesso peso. Solo per metà delle interessate (il 51,5 per cento) però è davvero così. Le percentuali sono uguali per le risposte al quesito che riguarda la presenza e il ruolo, rispetto ai colleghi, di giornaliste, conduttrici e professioniste dell’informazione.
Il peso delle donne nella politica
Sei italiane e italiane su dieci pensano che le donne siano penalizzate in politica (gli uomini nella misura del 69,4 per cento, le donne per il 46,9 per cento) e quattro su dieci ritengono che le cose andrebbero meglio se ci fossero più donne con ruoli importanti. La percentuale femminile che se lo auspica è del 58,3, quella maschile crolla al 20,0 per cento.
La vicepresidente del Senato: «Parità lontana»
La vicepresidente del Senato Anna Rossomando, avvocata penalista, allarga la visuale e batte sull’importanza dei media. «L’informazione non può essere neutrale o indifferente ai ruoli delle donne nella società. Oggi registriamo un avanzamento – rileva – ma siamo ancora lontani da una parità di forma e sostanza, sia perché nelle testate giornalistiche le donne non hanno ancora sufficienti ruoli apicali, sia per la rappresentazione delle donne sui temi importanti. Il ruolo delle donne – insiste – spesso non viene riconosciuto, anche perché non è rappresentato, e c’è una battaglia di valori che deve esser fatta attraverso l’informazione. C’è stato l’impegno di alcuni uomini a non prender parte ad appuntamenti in cui non ci sia rappresentanza femminile e questo mi sembra importante , perché è un tema che non riguarda solo le donne, ma la democrazia».
La parola a un uomo delle istituzioni
Il sottosegretario all’Editoria Andrea Martella, sempre in occasione delle presentazione del sondaggio a Palazzo Madama, si inserisce nel dibattito. «C’è un grande lavoro da fare – riconosce – affinché le donne abbiano ruoli importanti nel mondo delle professioni e anche in quello dell’informazione. Ci sarà bisogno di tempo. Oltre alle quote – prosegue – è necessaria una svolta culturale, così che i 40 anni previsti per superare il gap di genere possano diventare meno».