Elio ha 58 anni, è dirigente in una multinazionale e in questo periodo ha organizzato le sue giornate lavorative tra smart working e presenza in azienda. Il suo ruolo è stimolante e impegnativo: a giugno ha affrontato un viaggio all’estero e probabilmente altri ne arriveranno in futuro. Cosa c’è di strano? Elio ha una diagnosi di Parkinson, quella malattia neurologica che nell’immaginario di molti ti costringe chiuso in casa e ti “gambizza” la vita. Ma Elio e tante altre persone che, come lui, non vogliono rinunciare a una esistenza normale stanno cambiando il nostro immaginario.

Al momento soffrono di Parkinson circa 200 mila italiani di cui la maggior parte ha tra i 60 e i 65 anni, nel pieno di una vita attiva. E per tenere a lungo sotto controllo la malattia conta il curarla bene il prima possibile. «È importante che il paziente venga seguito da un’équipe multidisciplinare che imposti fin da subito una terapia adeguata» spiega il professor Gianni Pezzoli, specialista in neurologia e presidente dell’Associazione Italiana Parkinsoniani. «I farmaci sono principalmente il levodopa e i dopaminoagonisti. Entrambi, con modalità diverse, sono in grado di tenere sotto controllo per anni i sintomi tipici della malattia come tremori, rigidità e lentezza. Sono cure importanti di cui oggi sappiamo sfruttare meglio le potenzialità».

È vero che lo sport può migliorare l’azione dei farmaci?

«Sì, ma va praticato con prudenza. Una caratteristica della malattia è il senso di affaticabilità precoce: quando iniziano i segnali di stanchezza, bisogna fermarsi. Altrimenti, si “stressa” il metabolismo cellulare e questo non fa bene alla malattia. I ricercatori canadesi hanno appena pubblicato uno studio che ha paragonato gli effetti di un programma di esercizi specifici di boxe con uno di attività sensoriali, più soft, come allungamenti e camminata. E il gruppo che ha seguito questi ultimi, ha avuto un miglioramento nei sintomi con benefici che non sono svaniti alla fine del ciclo».

Come va gestito il movimento?

«Innanzitutto, da subito bisogna cominciare con la fisioterapia almeno una volta alla settimana sotto la guida di un esperto. Poi si ripetono tutti i giorni a casa gli esercizi imparati. Inoltre, si consiglia di percorrere una media di 3-5 mila passi al giorno, compatibilmente anche con l’età. Tutto questo si traduce in benefici: il movimento, infatti, se eseguito con costanza, senza esagerare, diventa una vera e propria terapia complementare a quella farmacologica».

La dieta ha un ruolo?

«È certo ormai che le proteine intralciano l’azione della levodopa, uno dei principi attivi maggiormente utilizzati nella cura del Parkinson. Chi ne consuma sempre troppe, ha un peggioramento del tremore e in generale dei sintomi motori che richiedono un aumento del dosaggio del medicinale. Per evitarlo è necessario calibrare le proteine sulla base del peso corporeo e consumarle solo la sera».

Cura per Parkinson
Un videogioco sperimentale per le difficoltà di linguaggio legate al Parkinson.

E quando i farmaci non funzionano?

«Ci sono altre terapie. L’ultima arrivata si chiama MrgFUS e prevede l’uso di ultrasuoni guidati dalla risonanza magnetica. In pratica, gli ultrasuoni vengono convogliati contro una specifica porzione del talamo, la zona del cervello da cui hanno origine i tremori, e ne bruciano il tessuto. Si utilizza nei casi di tremore grave che non rispondono alla terapia farmacologica, per intenderci, quando è impossibile tenere in mano un bicchiere senza rovesciarne il contenuto. È una tecnica ben tollerata anche dai pazienti più fragili e che sta dando buoni risultati. Nel 10-15% dei casi, invece, quando iniziano le fasi alterne di quiete e di ripresa dei sintomi motori, con eccesso dei movimenti, che non migliorano nonostante gli aggiustamenti dei farmaci, la soluzione può essere un pacemaker collegato a due elettrodi che stimolano i nuclei subtalamici del cervello, permettendo così un controllo dei sintomi. Lo inseriamo sottopelle, nella zona del petto e crea una stimolazione cerebrale profonda».

Dove sta andando la ricerca?

«Sono in fase di studio alcuni farmaci antidiabetici che potrebbero avere un ruolo nella malattia, utili specialmente nelle fasi iniziali. Altri lavori scientifici importanti riguardano i test per la diagnosi precoce e anche qui siamo a buon punto. Sappiamo che nell’organismo, ben prima che la malattia dia segno di sé, si creano degli agglomerati di alfa-sinucleina: questa proteina si può rilevare anche nella saliva. Grazie a questa scoperta ora ci sono studi in corso che potrebbero portare a un test diagnostico ultrarapido. Altre ricerche stanno anche indagando i motivi per cui si formano questi agglomerati di alfa-sinucleina. E se tutto va bene questi studi probabilmente porteranno a terapie neuroprotettive mirate, cioè capaci di difendere le cellule del cervello e rallentare così la progressione della malattia».

Cura per Parkinson
Martha Johnson è una cantante rock canadese che ha una diagnosi di
Parkinson. Qui si allena con un programma di boxe studiato proprio per i malati.

→ Parkinson: i segnali da tenere d’occhio

Ci sono segnali atipici del Parkinson che potrebbero aiutare nella diagnosi precoce: 

– perdita di espressività del volto, perché i muscoli del viso man mano si irrigidiscono 

– tono di voce che diventa sempre più debole 

– modifiche nella personalità con instabilità nell’umore 

– perdita di gusto e olfatto 

– stitichezza inspiegabile che non migliora in alcun modo 

– modifiche del sonno, come insonnia, incubi e sonniloquio.

Se sono presenti almeno tre di questi sintomi, è bene rivolgersi a un Centro specializzato.


Su www.parkinson.it trovi centri specializzati e informazioni sulla malattia. E se sei in difficoltà chiama SOS PARKINSON al 336735544, il sabato e nei festivi dalle 8 alle 20